Civile

Le persistenti incertezze nel trattamento delle valute virtuali ai fini delle imposte dirette

L'interpretazione proposta nella risposta 788 presenta ancora i tratti di una soluzione provvisoria che non considera diversi aspetti operativi e tratti caratteristici del mondo delle criptovalute

di Giorgio Vaselli, Matteo Giacomelli

Con la risposta a interpello numero 788 del 2021 l'Agenzia delle Entrate non scioglie i dubbi in merito alla tassazione degli investimenti in criptovalute sorti a seguito della risoluzione 72/E del 2016, di alcune precedenti posizioni già adottate da taluni uffici territoriali (DRE Lombardia risposta n. 956-39/2018 e DRE Liguria, risposta n. 903-47/2018) e del contributo all'indagine internazionale dell'OCSE "Taxing virtual currencies" del 12 ottobre 2020.

L'interpello riguarda il trattamento ai fini IRPEF e del monitoraggio fiscale degli investimenti in criptovalute effettuati da una persona fiscalmente residente in Italia al di fuori del regime d'impresa, la cui attività si è limitata alla mera detenzione, senza cessioni o conversioni in valuta fiat ("strategia di detenzione in holding").

Con una risposta ultra petita, l'Agenzia ha confermato che, alla luce delle conclusioni raggiunte dalla Corte di Giustizia UE nella decisione n. C-264/14 "alle operazioni in valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali".

Conseguentemente, si legge, si qualificano come redditi diversi (ai sensi dell'articolo 67, c. 1, lett. c-ter) del Tuir) i proventi derivanti dalle cessioni di valute virtuali
(i) "a pronti" (uno scambio immediato tra valute differenti) prelevate da uno o più wallet la cui giacenza superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d'imposta; o
(ii)"a termine" (una transazione speculativa che assume valori a termine di valute come riferimento per la determinazione del corrispettivo).

Nel documento l'Agenzia estende in via interpretativa il regime fiscale dei redditi derivanti dallo scambio di valute aventi corso legale (introdotto nel lontano 1997) alle criptovalute (non riconosciute come tali se non nello Stato di El Salvador). Il compromesso raggiunto, però, non considera diversi aspetti operativi e tratti caratteristici del mondo delle criptovalute.

Il primo dubbio riguarda il ruolo dei wallet, definiti dall'Agenzia "portafogli elettronici" o "conti digitali" (come nella sentenza del Tar del Lazio n. 1077/2020 sull'indicazione in RW del valore delle criptovalute).

I wallet sono dispositivi hardware o software per la conservazione della chiave pubblica (detta anche indirizzo) e di quella privata con cui qualsiasi soggetto può rivendicare la titolarità di un determinato ammontare di criptovalute e trasferirne a terzi. Nella risposta 788 si legge che "il prelievo dai wallet è equiparato ad una cessione a titolo oneroso" ai fini dell'articolo 67, comma 1, lett. c-ter) del Tuir. Non si condivide tale affermazione considerando che l'"estrazione" di criptovaluta da un wallet non ha nulla in comune con il prelievo di contanti da un conto corrente/deposito.

Generalmente, l'utente medio investe tramite i c.d. exchanger (piattaforme di scambio): si trasferiscono i fondi in valuta fiat (con bonifico o addebito su carta di credito) ai gestori degli exchanger per acquistare criptovalute; a quel punto, si possono lasciare le relative chiavi pubbliche sul wallet online messo a disposizione dall'exchanger (il wallet non è dell'utente che assume quindi il rischio di perdere tutto l'investimento) oppure trasferire le stesse chiavi su un wallet personale per incrementare il livello di sicurezza (per i patrimoni più ingenti esistono anche sistemi più complessi come i "multi-firma" in cui diversi wallet contengono le medesime chiavi).

L'operazione inversa avviene ogniqualvolta l'investitore intenda cedere a terzi tramite exchanger tutte o parte delle proprie criptovalute (tali flussi sono monitorati nelle c.d. analisi on-chain per analizzare i trend di mercato e le variazioni del valore delle valute virtuali). Ebbene, considerato che un soggetto può compiere tali operazioni innumerevoli volte, andrebbe innanzitutto precisato qual è il "prelievo" rilevante ai fini fiscali (ad esempio per la determinazione di plusvalenze/minusvalenze e l'individuazione del periodo d'imposta interessato).

Una seconda perplessità riguarda la scelta di considerare fiscalmente rilevanti gli scambi tra criptovalute ("crypto-to-crypto"). Si tratta probabilmente dell'aspetto più problematico già emerso nel 2018 (nella risposta 956-39) che esaspera ai fini fiscali le differenze tra valute fiat e virtuali.

Per le ragioni anzidette, tassare gli scambi crypto-to-crypto assomiglia molto ad una imposizione di redditi solo maturati e non effettivamente incassati dal contribuente, non esistendo alcun riferimento normativo in tal senso (e in piena contraddizione con il principio di tassazione per cassa proprio del regime applicabile alle plusvalenze derivanti da cessione di valute estere). Come ovvia conseguenza, il contribuente potrebbe trovarsi nella situazione paradossale di veder tassati proventi mai incassati e nel contempo non avere i fondi per assolvere le imposte dovute; qualora intendesse reperire i fondi convertendo criptovalute in valuta fiat, il controvalore in euro sarebbe generalmente trasferito dalla banca di appoggio utilizzata dal gestore dell'exchanger al conto corrente dell'investitore; tale operazione ("cash out") è soggetta all'esito positivo (per nulla scontato) delle procedure antiriciclaggio, spesso non celeri.

Infine, anche l'applicazione del metodo del LIFO ex articolo 67, co. 1-bis del Tuir per la determinazione delle plusvalenze su valute estere potrebbe generare difficoltà applicative e una generale situazione di incertezza in caso di controlli da parte dell'Amministrazione finanziaria: come illustrato nel paragrafo "combining and splitting value" del "White Paper" relativo all'ideazione dei bitcoin, una singola transazione in criptovalute può essere composta da "più input che raggruppano quantità più piccole" di valute virtuali con la conseguenza che i rendiconti annuali rilasciati dagli exchanger possono comprendere centinaia (se non migliaia) di transazioni rappresentative del numero decisamente inferiore di scambi effettivamente disposti dal medesimo investitore.

Complessivamente, ad avviso di chi scrive l'interpretazione proposta nella risposta 788 presenta ancora i tratti di una soluzione provvisoria (a discapito della certezza del diritto). E' essenziale e auspicabile uno specifico intervento normativo in ambito tributario, come il condivisibile disegno di legge A.C. n. 3131 del 24 maggio 2021 per il quale non è attribuita alcuna rilevanza impositiva al concetto di "prelievo" (dai wallet) ed è prevista la rilevanza fiscale delle sole operazioni che comportano il pagamento o la conversione in valuta fiat.

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