Famiglia

Le sentenza che riconosce la reversibilità di parte della pensione di invalidità al divorziato non "vale" per la richiesta di quote dell'assegno integrativo

Non esistono precedenti sul caso esaminato dalla I sezione della Cassazione con l'ordinanza 15817/2021

di Mario Finocchiaro

In caso di divorzio, il passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto una quota della pensione di invalidità erogata dall'Inps al coniuge divorziato dell'assicurato non ha efficacia di giudicato (e non è, per l'effetto, preclusivo al suo esame, nel merito) nei confronti della analoga domanda proposta, dalla stessa divorziata, per ottenere, da un ente previdenziale di categoria, una [ulteriore] quota della pensione integrativa di reversibilità. L'autorità del giudicato sostanziale - infatti - opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone, quindi, che la causa precedente e quella in atto abbiano in comune, oltre ai soggetti, anche il petitum e la causa petendi, restando irrilevante, a tal fine, l'eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione. Lo ha stabilito la Sezione I della Cassazione con l' ordinanza 7 giugno 2021 n. 15817.

Novità giurisprudenziale
Questione nuova, sulla quale non risultano precedenti.
Per qualche riferimento, nel senso che il provvedimento col quale il tribunale, adito, a norma dell'articolo 9, legge 1° dicembre 1970, n. 898 (nel testo fissato dall'articolo 2, legge 1 agosto 1978, n. 436), dal coniuge divorziato per l'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità spettante al coniuge superstite, accolga la domanda statuendo anche sulla attribuzione di quella parte di tale trattamento che, per qualsiasi ragione, non sia stato riconosciuto a quest'ultimo soggetto, così da investire non solamente il rapporto fra gli aventi causa del coniuge deceduto, ma altresì quello con l'ente erogatore del trattamento stesso, ancorché reso in forma di decreto ed in adozione del rito camerale, è suscettibile di formare giudicato avverso il quale detto ente - il quale, non essendo stato parte nel relativo procedimento, non è legittimato alla proposizione del reclamo di cui all'articolo 739 Cpc - può proporre opposizione ex art. 404, comma 1, Cpc, quale contraddittore necessario pretermesso e pregiudicato nei suoi diritti per effetto di quell'ulteriore statuizione, Cassazione, sentenza 10 maggio 1991, n. 5241.

Efficiacia riflessa di un giudicato
In termini generali sulle condizioni perché un giudicato possa avere efficacia riflessa, cfr., tra le tantissime, nel senso che il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che:
a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio;
b) i terzi non possano risentire un pregiudizio giuridico dalla precedente decisione;
c) l'efficacia riflessa riguardi soltanto l'affermazione di una situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento, Cassazione, sentenza 23 aprile 2020, n. 8101 che ha escluso l'efficacia riflessa del giudicato avente ad oggetto il premio scudetto, riconosciuto ad altri giocatori della medesima squadra di calcio in distinti processi, essendo stato dedotto in giudizio un diritto fondato su un autonomo rapporto obbligatorio, di per sé non incompatibile con le diverse decisioni già divenute definitive.
Nella stessa ottica, il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale, purché questi sia titolare di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo, o comunque a questa subordinato, Cassazione, sentenza 4 luglio 2019, n. 17931, che ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento a un sinistro stradale che aveva dato origine a due distinti giudizi - l'uno intentato dal proprietario per il risarcimento dei danni occorsi al mezzo, l'altro dal conducente per il risarcimento dei danni alla sua persona -, aveva escluso che il giudicato formatosi nel primo, in ordine alla ripartizione percentuale di responsabilità tra i conducenti coinvolti, potesse spiegare efficacia riflessa nel secondo.

Ripartizione della reversibilità
In margine alla controversia tra il divorziato e il coniuge superstite del de cuius per la ripartizione della pensione di reversibilità, nel senso che la stessa necessariamente svolgersi in contraddittorio con l'ente erogatore, atteso che essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l'accertamento concerne i presupposti affinché l'ente assuma una obbligazione autonoma, anche se nell'ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto, tra le tantissime, Cassazione, sentenze 22 maggio 2020, n. 9493 e 18 luglio 2005, n. 15111.

Le pensioni integrative
In margine alle pensioni integrative, nel senso che le stesse costituiscono una forma di pensione che, pure aventi natura di retribuzione differite sono contraddistinte dalla mancanza di un nesso di correspettività diretta tra la contribuzione e la prestazione lavorativa, con sostanziale autonomia, quindi, tra il rapporto di lavoro e tale tipologia di previdenza complementare, Cassazione, sez. un., sentenza 9 marzo 2015, n. 4684, in Guida al lavoro, 2015, fasc. 15, p. 50 (con nota di Rocco di Torrepadula G., I versamenti datoriali alla previdenza complementare escono dal calcolo del TFR), secondo la quale per il periodo anteriore alla riforma di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare - sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso - hanno natura previdenziale, non retributiva, sicché non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nella stessa ottica, i trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta - in via di interpretazione autentica dall'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - dall'articolo 9 bis del decreto legge 29 marzo 1991, n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 199,1 n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa. Ne discende la non operatività del criterio di inderogabile proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro, e, più in generale - con particolare riferimento alle pensioni aggiuntive rispetto al trattamento previdenziale obbligatorio -, della garanzia dell'articolo 36 Cost., in relazione all'articolo 2099 Cc, Cassazione, sez. un., sentenza 1° febbraio 1997, n. 974 (in Giustizia civile, 1997, I, p. 915, con nota di Giacalone G., La previdenza integrativa aziendale: natura retirbutiva e funzione previdenziale), secondo la quale, ne consegue, in primo luogo, che l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, e, in secondo luogo, che non può ritenersi pertinente - con particolare riferimento alla sospensione del trattamento integrativo in caso di svolgimento di determinate attività lavorative - il vincolo di destinazione delle somme allo scopo pensionistico, posto dall'articolo 2117 Cc.
Per utili riferimenti, sempre in margine alle pensioni integrative cfr., altresì, per l'affermazione che i trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, potendo determinare altresì le condizioni della reversibilità delle prestazioni in favore del coniuge e dei figli del pensionato Cassazione, sentenza 29 maggio 2013, n. 13399, che ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la reversione della pensione in favore del coniuge del pensionato - nel caso, separato giudizialmente alla data di risoluzione del rapporto di lavoro - in quanto la contrattazione collettiva limitava la reversibilità al coniuge convivente.

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