Le sponsorizzazioni sono tassate ma non entrano nei test di prevalenza
La commercialità o meno delle attività esercitate è funzionale ad individuare la qualifica dell’ente del Terzo settore (Ets) nel suo complesso e, quindi, anche l’effettivo regime fiscale applicabile. Secondo l’articolo 79, comma 5 del Codice del Terzo settore (Cts), l’ente si considera commerciale se, nel periodo di imposta, i proventi delle attività di interesse generale svolte in forma di impresa e delle eventuali attività diverse sono prevalenti rispetto a quelli da attività di natura non commerciale. Un test di prevalenza, dunque, che mette a confronto le entrate riconducibili alle diverse attività.
Anche in questo caso, è la stessa disposizione normativa a fornire alcune precisazioni sulle tipologie di entrate da considerare ai fini del calcolo. In particolare, rientrano tra le entrate non commerciali, i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative e ogni entrata assimilabile (comprese quelle di cui ai commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo 79) nonché il valore normale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate con modalità non commerciali. Sono escluse dal computo delle attività di natura commerciale le entrate derivanti da sponsorizzazioni. Queste ultime, quindi, pur essendo soggette a tassazione, non vanno considerate per verificare la qualifica fiscale dell’ente. A seconda della natura dell’ente, varia il trattamento fiscale.
Per gli Ets non commerciali, è previsto un regime particolarmente agevolato per la tassazione dei proventi derivanti dalle attività esercitate con modalità commerciali (siano esse attività di interesse generale o diverse), volto a minimizzare il carico tributario su quelle attività marginali che l’ente ha svolto per autofinanziarsi (articolo 80 del Cts). In luogo delle regole del Tuir, l’ente potrà optare per un regime forfetario, che prevede l’applicazione di coefficienti di redditività a scaglioni compresi tra il 5% (per i ricavi fino a 130.000 euro derivanti da attività diverse dalle prestazioni di servizi) e il 17% (per i ricavi oltre i 300.000 euro derivanti da attività di prestazioni di servizi). Un regime, questo, più vantaggioso di quello previsto dall’articolo 145 del Tuir per gli enti non commerciali in contabilità semplificata, il quale prevede coefficienti più alti (tra il 10% e il 15%) e soglie massime di proventi (400.000 euro per le prestazioni di servizi e 700.000 euro per le altre attività).
Se l’ente è una Odv (organizzazione di volontariato) o una Aps (Associazione di promozione sociale) con ricavi annui inferiori a 130 mila euro, poi, il vantaggio è ancora maggiore, in quanto è possibile optare per un forfetario agevolato (articolo 86 del Cts) che consente di determinare il reddito d’impresa derivante dalle attività commerciali applicando coefficienti di redditività pari all’1% per le Odv e al 3% per le Aps.
Tutti questi regimi sono applicabili su opzione, per cui resta ferma la possibilità di scegliere che la tassazione avvenga in misura ordinaria in base alle norme del Tuir. Quest’ultima strada, invece, è l’unica percorribile per gli Ets fiscalmente commerciali. Questi ultimi non usufruiscono di alcun regime agevolato, a meno che non decidano di acquisire la qualifica di impresa sociale ed applicare la nuova disciplina sulla tassazione degli utili di questi enti (articolo 18 del Dlgs 112/2017).