Legge Nordio, la Cassazione rinvia alla Consulta l’abrogazione del reato di abuso di ufficio
La cancellazione del reato non è compensata dall’esistenza o dall’adozione di strumenti compensativi dell’abolitio criminis lasciando una “zona franca” nell’ambito dell’anticorruzione in violazione della Convenzione Onu
La Cassazione penale ha autonomamente rivalutato la sussistenza di profili di incostituzionalità dell’articolo 1 della legge 112/2024 in vigore dal 25 agosto scorso nota come “Riforma Nordio” dove abroga il reato di abuso d’ufficio. La Suprema Corte ha così promosso incidente costituzionale al fine di decidere il ricorso con cui la difesa chiedeva l’annullamento della condanna ex articolo 323 del Codice penale appena abrogato in applicazione del principio del favor rei che non consente la sanzione penale per un reato abolito anche se il fatto è stato commesso quando la norma incriminatrice era vigente.
Ovviamente la Corte di cassazione - con l’ordinanza n. 9442/2025 - non discute sulla piena rilevanza dell’abolitio criminis anche in ordine a condanne per fatti avvenuti precedentemente. Però la stessa ordinanza ha rilevato i profili di illegttimità di tale abrogazione per la violazione degli obblighi sovranazionali da parte dello Stato italiano, in particolare della Convenzione Onu contro la corruzione adottata a Merida nel 2003 e ratificata in Italia con la legge 116/2003.
L’eventuale declaratoria di illegittimità della norma abrogativa non fa che riespandere la norma incriminatrice, mai validamente abrogata, senza che la Consulta incorra nel rischio di prevedere la criminalizzazione di una condotta invadendo la sfera di potere affidata al Legislatore dall’ordinamento nazionale.
Secondo la Cassazione penale la scelta del Legislatore ben può essere sottoposta al vaglio costituzionale per giudicare le norme di legge in base a diverse tipologie di violazione: contrasto con disposizioni e principi recati dalla Costituzione, esercizio illegittimo del potere legislativo da parte dei consigli regionali, del Governo privo di delega o del Parlamento oppure per violazione di obblighi internazionali. Tale ultima ipotesi riguarda il caso sottoposto alla Consulta.
In particolare, la Cassazione incentra il rinvio ai giudici costituzionali sul contrasto dell’articolo 1 della legge Nordio con l’articolo 19 della Convenzionee anticorruzione in quanto tale disposizione internazionale descrive - tra le astratte fattispecie penali da adottare da parte degli Stati prodromiche o indicative di fatti corruttivi - proprio il contenuto del previgente articolo 323 del Codice penale italiano.
Ma la complessa valutazione sui profili di illegittimità non si limita a rilevare la violazione della specifica disposizione convenzionale, ma soprattutto degli impegni assunti con la ratifica e dei principi ispiratori di un’efficace azione di contrasto alla corruzione.
Infatti, la Convenzione fissa degli standard della lotta contro il fenomeno criminale che si consuma nell’ambito della pubblica amministrazione in danno dell’interesse della collettività con la conseguenza che pur non essendo vietata la depenalizzazione di alcune condotte impone che l’abrogatio crimiins sia compensata da altri meccanismi di tutela dei privati e di repressione delle condotte illecite tenute da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
La Cassazione di fatto esclude che si sia realizzata tale compensazione attraverso altri strumenti quali il sistema disciplinare interno alla pubblica amministrazione lasciando di fatto una pericolosa lacuna nella lotta contro la corruzione.
La Suprema Corte rimette quindi la questione di costituzionalità alla Consulta pur riconoscendo la validità dell’intento del Legislatore di evitare i fenomeni della paralisi della burocrazia amministrativa e della discrepanza tra il numero di iscrizioni di reato per abuso d’ufficio rispetto a quello delle decisioni di merito assunte.