Lavoro

Licenziamento del lavoratore: il rischio economico della prescrizione “rimandata”

Alla luce delle criticità emerse all’indomani della pronuncia del 2022, è necessario un chiarimento legislativo per bilanciare meglio la tutela dei crediti retributivi con le esigenze di certezza

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di Fabrizio Ferraro*

Molte recenti pronunce di merito stanno ribadendo, con rari distinguo, il principio di diritto emerso dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6 settembre 2022 n. 26246 , a mente del quale i rapporti di lavoro privato a tempo indeterminato, nel loro complesso, sono “ instabili ” perché non sempre e comunque assistiti dalla tutela reale e, quindi, non più resistenti, al contrario di come avveniva fino al 2012 nelle imprese di maggiori dimensioni rispetto alle quali quella tutela trovava applicazione. Ne segue che la prescrizione dei crediti retributivi risulterebbe, secondo la Corte, “ sospesa ” (si tratta invero di temporanea imprescrittibilità del diritto di credito) e ricomincerebbe a decorrere per intero solamente a partire dalla cessazione del rapporto.

La decisione del 2022 rispecchia in apparenza il canone della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 1966, che diede rilevanza giuridica al timore del lavoratore di essere licenziato, per fondare un decorso della prescrizione diverso da quello previsto dalla regola generale, secondo la quale la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), e simile a quello che si deduce dal decorso della decadenza per impugnare le rinunce invalide del prestatore di lavoro (art. 2113 c.c.).

Tuttavia, al tempo, non v’era alcuna tutela contro il licenziamento ingiustificato e il timore era effettivo. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori avrebbe nuovamente reso irrilevante quel timore (Cass., Sez. Un., 12 aprile 1976, n. 1268).

Ebbene, oggi, anche dopo le due grandi riforme delle conseguenze del licenziamento illegittimo (l. 91 del 2012 e d.lgs. 23 del 2015), trovano applicazione tutele dissuasive che conferiscono ancora al rapporto di lavoro, soprattutto nelle imprese di maggiori dimensioni, una certa resistenza (soprattutto dopo i diversi interventi della Corte costituzionale). Inoltre, il giudice può sempre disporre la reintegrazione con risarcimento del danno patrimoniale “pieno in caso di licenziamento ritorsivo. Del resto, la stessa Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la prescrizione decorre in corso di rapporto anche se il contratto è a termine (Cass., S.U., 16 gennaio 2003, n. 575), pur se non possa negarsi come un timore derivante dalla “ precarietà ” del rapporto possa anche sussistere in concreto, atteso anche che il recesso intimato prima del termine e privo di giusta causa avrebbe comunque conseguenze di ordine solamente risarcitorio. Inoltre, troppo spesso il principio basato sul riscontro di un metus espresso dalla Consulta nel 1966 viene oggi generalizzato, nonostante il giudizio di incostituzionalità fosse stato incentrato sull’art. 36 Cost. e, quindi, limitatamente alla prescrizione della retribuzione proporzionata e sufficiente costituzionalmente garantita. Non tutte le somme dovute in dipendenza del rapporto di lavoro vi rientrano.

La dottrina più attenta si è soffermata con dovizia di argomenti su queste e su altre debolezze della pronuncia del 2022 (Maresca A., Reintegrazione “recessiva” e decorso della prescrizione dei crediti retributivi (si ritorna al 10 giugno 1966), in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2022, 445 ss.).

Molte sono le problematiche vissute e i rischi patiti dalle imprese a valle dell’applicazione del criticabile principio di diritto espresso nel 2022 dalla Suprema Corte. Pur avendo fin dal 2012 continuato a prestare ragionevole affidamento sul decorso ordinario della prescrizione per i rapporti assistiti da importanti protezioni contro il licenziamento illegittimo e pur essendo trascorsi i fatidici cinque anni “da quando il diritto può essere fatto valere”, molte imprese ricevono oggi richieste di risarcimento inattese e non programmabili. Si tratta di un rischio economico da gestire.

Nella speranzosa attesa che il legislatore comprenda l’urgenza di un chiarimento sul punto per bilanciare meglio la tutela dei crediti retributivi con le esigenze di certezza, la nozione di stabilità promossa dalla Corte di Cassazione nel 2022 e ancorata solo e semplicemente al timore del licenziamento, non assistito da una assoluta stabilità reale del rapporto andrebbe forse ripensata in via interpretativa, a cura dei giudici, per dare conto delle profonde trasformazioni della disciplina dei licenziamento e del mercato del lavoro, nonché delle molte variabili del concetto non normativo di “stabilità”.

Ciò consentirebbe di evitare, da una parte, che un istituto come la prescrizione, vocato al progressivo consolidamento nel tempo delle situazioni giuridiche debitorie, sia disciplinato in modo da dare rilievo a soggettivismi e incertezze applicative. D’altra parte, si eviterebbe di mettere a repentaglio un’altra “stabilità, quella del sistema economico, fattore di certo non trascurabile quando si discorre di prescrizione (anche) dei crediti retribuitivi e quando si ragiona, a monte del diritto alla retribuzione, sulla stessa “ garanzia” dell’occupazione.

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*A cura di Fabrizio Ferraro, Professore associato Università degli Studi eCampus, senior associate studio legale FGA Ferraro Giove Associati

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