Lo stalking non contrasta con la Costituzione per eccesso di indeterminatezza
La Cassazione, richiamando la sentenza n. 172 del 2014 con cui già la Corte costituzionale aveva escluso profili di incostituzionalità, ribadisce che la fattispecie incriminatrice degli atti persecutori (articolo 612 bis del Cp) non contrasta con l'articolo 25 della Costituzione per eccesso di indeterminatezza. Lo fa con la sentenza n. 28703 del 6 luglio 2015.
A supporto la Corte ha provveduto ad analizzare gli elementi costitutivi del reato e, rispetto ad essi, lo sforzo probatorio richiesto al giudice di merito per dare concretezza all'ipotesi accusatoria.
Minacce e molestie - Così, sotto il profilo della condotta materiale, si evidenzia la fattispecie di cui all'articolo 612 bis del Cp si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale, agli articoli 612 e 660 del Cp, onde l'applicazione giurisprudenziale su tali reati non solo agevola l'interpretazione della disposizione di che trattasi, ma offre soprattutto la riprova che la descrizione legislativa corrisponde a comportamenti effettivamente riscontrabili e riscontrati nella realtà.
Vale allora osservare, in proposito, che, per la nozione di “minaccia”, può senz'altro richiamarsi l'interpretazione consolidata formatasi sul reato di cui all'articolo 612 del Cp, onde per tale deve intendersi la rappresentazione di un “male ingiusto dipendente dalla volontà dell'agente”.
Mentre, quanto alla nozione di “molestia”, il richiamo all'articolo 660 del Cp è in tutta probabilità limitativo, dovendo piuttosto farsi richiamo alle più ampie indicazioni ricavabili dai lavori preparatori sì da fare rientrare nell'ambito di operatività del reato ogni “comportamento assillante e invasivo della vita altrui realizzato mediante la reiterazione insistente di condotte intrusive, quali telefonate, appostamenti, pedinamenti, fino, nei casi più gravi, alla realizzazione di condotte integranti di per sé reato (aggressioni fisiche, danneggiamenti)”.
Ne deriva che la nozione di “molestia” rilevante quale atto persecutorio è più estesa di quella presa in considerazione nella fattispecie contravvenzionale, la cui formulazione letterale non è in grado di cogliere il proprium del delitto, laddove qualificante e rilevante la realizzazione dell'”evento” rappresentato dal condizionamento materiale e/o psicologico della vittima.
Basti pensare il reato contravvenzionale di molestia deve escludersi (mentre non è dubbia la configurabilità dello stalking) sia per la corrispondenza epistolare in forma cartacea, inviata, recapitata e depositata nella cassetta (o casella) della posta sistemata presso l'abitazione del destinatario, sia nel caso dell'invio di un messaggio di posta elettronica, giacché entrambe le ipotesi non comportano un' “immediata interazione” tra il mittente e il destinatario, né alcuna intrusione diretta del primo nella sfera di attività del secondo: e ciò a differenza della telefonata (e del messaggio “sms”).
Proprio in ragione del rilievo qualificante dell'”evento” dannoso ai fini della configurabilità degli atti persecutori, nella nozione di “molestia” rilevante ex articolo 612 bis del Cp devono quindi farsi rientrare tutte le condotte “assillanti ed invasive” della vita altrui idonee a determinare l'evento caratterizzante il reato.
La “reiterazione” della condotta - Resta inteso, ovviamente, che, per assumere rilievo a titolo di stalking, le condotte di minaccia e/o di molestia devono essere però “reiterate”, trattandosi di un reato tipicamente abituale (Sezione I, 8 febbraio 2011, Confl. comp. in proc. C.).
A tal proposito, secondo la giurisprudenza, per la configurazione del requisito della “reiterazione” delle condotte di minaccia o molestia rilevanti per integrare il proprium dell'elemento oggettivo dello stalking, bastano anche “due soli” episodi di molestia o di minaccia (cfr. Sezione V, 27 novembre 2012, F.).
Ciò si spiega con il rilievo che il termine “reiterare” denota la ripetizione della condotta, ma a tal fine non è necessario che si tratti di una ripetizione insistita e plurima, bastando anche la ripetizione della condotta “una seconda volta”. Quindi, anche due sole condotte sono sufficienti a concretare quella reiterazione cui la norma subordina la configurazione della materialità del fatto (in termini, cfr. anche Sezione V, 21 gennaio 2010, O.; nonché, Sezione V, 2 marzo 2010, Proc. Rep. Trib. Chieti in proc. V.).
Del resto, lo stalking è un reato “di evento”, nel senso che per l'integrazione della fattispecie incriminatrice ciò che importa è che la condotta incriminata - reiterata, ma anche per sole due volte - abbia determinato la realizzazione di uno dei tre eventi alternativi richiesti ai fini della consumazione.
L'evento del reato - Lo stalking costituisce, appunto, un reato “di evento”, giacché la condotta materiale (reiterati episodi di minacce o molestie) deve avere determinato, in forma alternativa, la realizzazione di uno tra tre tipi di evento: cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, sempre in alternativa, costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.
E' proprio la realizzazione di uno o più di questi eventi che ne fissa il momento consumativo. L'alternatività degli eventi, del resto, consente di ravvisare il reato anche quando non si realizzino contestualmente tutti gli eventi dannosi: per intenderci, quando la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità il reato è configurabile senza che sia necessario l'essersi verificato anche un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa (Sezione V, 14 novembre 2012, O.).
A tal proposito, la Corte sottolinea che il relativo apprezzamento compete al giudice, il quale deve anche dimostrare il “nesso causale” tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima.
In particolare, quanto al “perdurante e grave stato di ansia e di paura” e al “fondato timore per l'incolumità”, trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi devono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. Mentre l'aggettivazione in termini di “grave e perdurante” stato di ansia o di paura e di “fondato” timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano da ritenere irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima.
Quanto al riferimento alle “abitudini di vita”, osserva la Corte, la formulazione della norma opera un verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato, appunto, punibile solo a titolo di dolo.
Lo stato di ansia e di paura - Va soggiunto, quanto alla dimostrazione dell'evento “stato di ansia e di paura”, che, secondo la giurisprudenza prevalente, è a tal fine sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, non essendo richiesto l'accertamento di uno “stato patologico”, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 612 bis del Cp non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (articolo 582 del Cp), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica.
Ne deriva, dal punto di vista probatorio, la non necessità del riscontro attraverso una certificazione sanitaria, in ipotesi attestante una “patologia” determinata dal comportamento persecutorio (ad esempio, un certificato medico attestante di una sindrome ansioso depressiva). La prova, infatti, può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sezione V, 28 febbraio 2014, D'E.).
L'alterazione delle abitudini di vita - Mentre, quanto all'evento sostanziatosi nella “alterazione delle abitudini di vita”, per tale si deve ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell'ordinaria gestione della vita quotidiana (quali, l'utilizzazione di percorsi diversi rispetto a quelli usuali per i propri spostamenti; la modificazione degli orari per lo svolgimento di certe attività o la cessazione di attività abitualmente svolte; il distacco degli apparecchi telefonici negli orari notturni, e simili), indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui e finalizzato ad evitare l'ingerenza nella propria vita privata del molestatore (cfr. Sezione V, 27 novembre 2012, F.).
Il timore per l'incolumità - Il terzo evento alternativo è rappresentato dal “fondato timore per l'incolumità” propria o delle persone vicine (la norma, stavolta, presenta una formulazione letterale imprecisa, quando riferisce il timore all'incolumità propria o di un prossimo congiunto “o di persona legata al medesimo”, quasi prefigurando che la relazione debba intercorrere tra il terzo e il prossimo congiunto della vittima e non con la vittima stessa).
Si tratta di un evento già a ben vedere ricompreso nel “grave e perdurante stato di ansia e di paura”. Anche in questo caso, in sede di accertamento giudiziario, è necessario prescindere dalla (particolare) suscettibilità soggettiva della vittima, sì da pervenire a un apprezzamento oggettivo del “timore”, come imposto dall'utilizzo dell'aggettivo “fondato”, che impone al giudice una valutazione appunto “oggettiva” del timore e dell'idoneità dello stesso a recare turbamento alla vittima, secondo un apprezzamento “medio”, che trascende dall'opinione della vittima.
La vicenda processuale - Da queste premesse, la Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna, avendo verificata l'esattezza delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito. Il fatto nella sua materialità non era neppure controverso: all'imputato erano addebitati quotidiani appostamenti, osservazioni, pedinamenti in un arco temporale “amplissimo”. Dimostrato in modo adeguato era anche l'evento, qui sostanziatosi nell'avere determinato nella vittima uno stato di ansia e di timore per l'incolumità propria e del figlio, oltre che nell'avere indotto la vittima stessa a modificare in modo sensibile le proprie abitudini di vita, cambiando tempi e modi di uscita dalla propria abitazione per non incontrare l'imputato.
Corte di cassazione - Sezione V penale – Sentenza 6 luglio 2015 n. 28703