Amministrativo

Lo straniero che guida in stato di ebbrezza non merita la concessione della cittadinanza italiana

Secondo il Tar Lazio-Roma la guida in stato di ebbrezza commessa in violazione del codice della strada provoca un forte allarme sociale ed è connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all'interno dello Stato

di Pietro Alessio Palumbo


Una condanna per guida in stato di ebbrezza può costare la concessione della cittadinanza italiana anche se lo straniero è un affermato professionista: nella vicenda un medico laureato e specializzato nel nostro Paese, esercitante in strutture pubbliche ed inoltre militante in associazioni di volontariato medico per la cura di gravi malattie.
Secondo il Tar Lazio-Roma (sentenza 3677/2023) la guida in stato di ebbrezza commessa in violazione del codice della strada provoca un forte allarme sociale ed è connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all'interno dello Stato, perché posto a presidio della sicurezza pubblica. Denota una "insensibilità" al rispetto delle norme del codice della strada. Insensibilità che è stata causa, negli ultimi anni, di un enorme numero di incidenti stradali, tanto da indurre il legislatore a un generale inasprimento delle pene per i reati stradali; e di recente anche a introdurre una fattispecie autonoma per la diversa ipotesi dell'omicidio stradale al fine di aggravare il trattamento sanzionatorio dei conducenti che, al momento del fatto, si trovino in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti.
In questa prospettiva il reato di guida in stato di ebbrezza è connotato da un marcato "rifiuto" dei principi fondamentali della convivenza all'interno dello Stato, essendo posto come tutela anticipata della pubblica incolumità con particolare riguardo a bambini, anziani, inabili; e pertanto giustifica il diniego della domanda di concessione della cittadinanza italiana allo straniero.

L'acquisizione dello status di cittadino italiano è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. La discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l'esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento del richiedente all'interno della comunità nazionale. Apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti ma anche doveri nella comunità.

In questa cornice l'amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie, tra cui una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza è cioè la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l'attribuzione dello status giuridico.
Operando un bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco risulta, pertanto, prevalente l'interesse della collettività a non attribuire in modo irreversibile il potere di partecipare alle scelte fondamentali per la vita della nazione a soggetti che possono operare come fattori di disgregazione dei valori determinanti la coesione della Comunità Politica; con conseguente possibilità di incidere, mediante l'esercizio del diritti di voto, sulla disciplina di alcuni istituti che implicano valori ritenuti fondamentali, operando in senso regressivo.

Secondo il Tar capitolino nella vicenda il provvedimento di diniego della naturalizzazione oggetto di impugnativa è legittimamente scaturito da un giudizio prognostico negativo formulato dall'amministrazione sull'utile inserimento del professionista straniero nella Comunità politica italiana, in considerazione della condotta dallo stesso tenuta, due anni dopo la presentazione dell'istanza di naturalizzazione, per essersi messo alla guida di una autovettura in stato di incapacità, mettendo in tal modo a repentaglio l'incolumità di svariate persone. Deriva che in tali circostanze la causa del diniego della concessione della cittadinanza italiana non consiste nella condanna penale in sé considerata, bensì – a ben vedere - nel comportamento tenuto dall'interessato. Comportamento che è stato apprezzato, al fine di stabilire l'effettivo grado di integrazione raggiunto dal richiedente sotto il profilo della condivisione dei valori ritenuti fondamentali per la Comunità; ritenendolo significativo sotto il profilo del mancato rispetto dei beni dell'integrità fisica e della libertà delle altre persone.

In tale prospettiva non vale, in senso contrario, sostenere che non è legittimo pretendere dallo straniero un quantum di moralità maggiore rispetto a quello esigibile dal cittadino, dato che la mancanza addebitata allo straniero in tali circostanze non consiste nel consumo di sostanze alcooliche o stupefacenti in sé considerato, quanto, piuttosto, nel fatto di mettersi alla guida in uno stato alterato dall'assunzione di tali sostanze; mettendo in tal modo a repentaglio soprattutto l'incolumità delle fasce più deboli della popolazione che finiscono per essere le vittime più frequenti degli incidenti: minori, anziani, portatori di handicap.

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