Amministrativo

Magistrati e «incompatibilità parentali», basta l'apparenza per viziare la fiducia nell'obiettività del giudice

Secondo il Tar Lazio il principio di equidistanza del giudice è compromesso non solo in presenza di una effettiva interferenza

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di Pietro Alessio Palumbo

Piuttosto che in un ormai logoro riferimento al concetto dai molteplici significati di "prestigio" della magistratura, l'incompatibilità del magistrato trova la sua essenza nel "pregiudizio" che potrebbe essere arrecato al requisito costituzionale dell'imparzialità della magistratura. Si può perciò dire che come astensione, ricusazione e incompatibilità per il compimento di atti processuali sono istituti preordinati a garantire l'imparzialità del giudice, così "le incompatibilità parentali" sono propedeutiche rispetto all'imparzialità della giurisdizione stessa. A ben vedere, ha chiarito il Tar del Lazio con la recente sentenza n.11551/2020, il principio di equidistanza del giudice è compromesso non solo in presenza di una effettiva interferenza del giudice in una fattispecie di suo interesse personale, ma anche quando si profilino, anche solo in via ipotetica o secondo la percezione che i cittadini possano non irragionevolmente averne, "apparenze di condizionamenti".

L'imparzialità nella cultura giuridica europea e "ragionevole sospetto"
Il principio di neutralità dell'Organo di giurisdizione è parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati europei, ed è stato qualificato Corte di giustizia, quale equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi perché tale aspetto richiede l'osservanza dell'oggettività e l'assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia all'infuori della stretta applicazione della norma giuridica. La giurisdizione va quindi organizzata in modo tale da non prestare il fianco al "ragionevole sospetto" che la sussistenza di un rapporto di familiarità tra un componente dell'ufficio giudiziario ed un suo parente o affine possa tradursi in una causa di vantaggio per il parente che eserciti la professione forense, e di possibile inquinamento dei processi ai quali il magistrato non partecipa, ma sui quali potrebbe tuttavia esercitare un'indebita influenza. Dal che nell'ipotesi della "incompatibilità parentale", l'alterazione dell'imparzialità può dipendere non solo dal diretto coinvolgimento del giudice in una certa causa, ma anche dal mero sospetto che i colleghi del magistrato siano indotti a favorirne il parente, pur quando il magistrato a ben vedere non vi abbia a che fare.

Incompatibilità parentale e magistratura ordinaria
Nel disciplinare le ragioni di incompatibilità, il legislatore è rifuggito da rigidi divieti se non quando ad essi non potesse trovarsi alcuna alternativa volta a bilanciare indipendenza e competenza dell'ufficio giudiziario. Va evidenziato che le sole ipotesi nelle quali la legge ha introdotto una causa di incompatibilità rigida e insuperabile sono indicate con riguardo ai Tribunali ordinari composti da un'unica sezione ovvero ai magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti, ma solo quando il Tribunale ordinario non sia ripartito in una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale. Infatti in presenza di una sola sezione, ovviamente dedita alla trattazione di "affari promiscui" ovvero, attinenti tanto al diritto civile in tutte le sue articolazioni, quanto al diritto penale, è inevitabile che l'eventuale attività forense del parente del magistrato incroci quella di quest'ultimo. L'incompatibilità può pertanto essere rimossa, qualora un'apprezzabile proliferazione delle sezioni, secondo la divisione tra diritto civile e diritto penale, per così dire "diluisca" anche il potenziale influsso del magistrato sulle cause trattate dai colleghi, creando una "barriera" sufficiente, ma anche "evidente" tra l'attività del primo e l'operato professionale del parente.

Incompatibilità parentale e magistratura amministrativa: l'«impegno» del parente del magistrato
La potenziale sovrapposizione, anche in linea astratta, tra la preposizione del magistrato all'ufficio e l'attività forense del parente, non può essere valutata per la magistratura amministrativa alla luce di condizioni che la normativa enuncia con evidente riferimento alla giurisdizione ordinaria, come accade laddove si esige la pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale. Neppure assume carattere dirimente il numero delle sezioni in sé, posto che esso, nella logica del legislatore, si può apprezzare solo con riguardo alla pluralità delle materie trattate. In altre parole solo se vi è quest'ultima può dirsi davvero possibilmente cessata nei fatti e nell'apparenza l'incompatibilità in argomento. In altri termini ad avere rilievo è la logica di prevenire anche solo il ragionevole dubbio circa uno "svigorimento" della terzietà dell'ufficio giudiziario. Ebbene in tale contesto un forte condizionamento può di coerenza derivare solo dalla eventuale dichiarazione d'impegno dell'avvocato, parente del magistrato di astenersi da ogni genere di attività, giudiziale e stragiudiziale, attinente al settore del diritto amministrativo. In tal caso, infatti, l'incompatibilità è a tutti gli effetti rimossa, perché viene meno, anche sul piano meramente astratto o potenziale, l'incrocio tra la presenza del magistrato presso la sede e l'«offuscamento» della imparzialità propria della giurisdizione. A ben vedere se l'avvocato non patrocina innanzi al Tar, né intercetta, in via stragiudiziale, controversie devolute alla cognizione di tale organo, è chiaro da un lato che non è neppure immaginabile un indiretto condizionamento dell'attività giurisdizionale a favore del professionista.

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