Maltrattamenti, “riappacificazione” da valutare per la revoca dell’allontanamento
Lo Cassazione, sentenza n. 44544 depositata oggi, afferma che va vagliata la plausibilità della ritrattazione delle precedenti accuse
Nei procedimenti per maltrattamenti in famiglia, o comunque violenza sulle donne, la priorità deve essere accordata alla tutela della loro sicurezza. Per revocare le misure cautelari del divieto di avvicinamento e dell’obbligo di presentazione alla Polizia, non è dunque sufficiente l’affermazione della vittima di voler riprendere la convivenza, perché il partner è “cambiato” ed ha “preso coscienza” delle proprie condotte sbagliate. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 44544 depositata oggi, accogliendo il ricorso del Pm contro la decisione del Tribunale che invece, in sede di riesame, aveva accolto le richieste di un uomo indagato per maltrattamenti e lesioni aggravate.
Per la VI Sezione penale, il Tribunale di Torino “contraddittoriamente” dopo aver riportato che la vittima subiva da oltre un anno “gravissime forme di maltrattamenti fisici e verbali”, che aveva evitato di farsi refertare le lesioni più volte patite “per paura di ritorsioni”, “in maniera del tutto illogica” ha poi asserito che la ritrattazione dimostrava che i due “si erano oramai riconciliati e che, essendo venuta meno la conflittualità, avendo la vittima riferito di voler riprendere la convivenza con il compagno”, il pericolo doveva considerarsi non più attuale.
In una motivazione del genere, prosegue la decisione, vi è una “insanabile frattura nella consequenzialità logica tra la descrizione dei fatti e la valutazione del relativo significato”.
Come chiarito di recente dalla Corte costituzionale, nei procedimenti cautelari contro “vittime vulnerabili” deve darsi “priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo” (n. 173/2024). E proprio il rispetto di questo “criterio di priorità” è mancato nel giudizio di riesame che, a fronte di una relazione “nettamente squilibrata tra l’agente e la persona offesa”, non ha verificato la “reale spontaneità e autenticità” della affermazione in cui la vittima ha dichiarato di essere disponibile a tornare a convivere.
In altri termini, prosegue la Cassazione, la vulnerabilità può portare ad una interpretazione della misura cautelare come finalizzata a garantire l’incolumità della persona offesa anche “contro la sua volontà”.
Spetterà dunque al giudice del rinvio accertare la plausibilità della ritrattazione delle precedenti accuse da parte della donna attraverso una “complessiva valutazione” della condizione “familiare” che non trascuri la solitudine della donna al momento della scelta di denunciare un compagno che “durante la pregressa convivenza, aveva tenuto abituali comportamenti aggressivi e violenti, in particolare quando la stessa aveva manifestato l’intenzione di lasciarlo”.
In tema di maltrattamenti in famiglia, per la Suprema corte, va dunque ribadito che “è ininfluente, ai fini del persistere del pericolo di condotte reiterative da parte di soggetto sottoposto a custodia cautelare per il reato commesso in danno del coniuge o del compagno, la sola manifestata volontà della persona offesa, in quanto occorre sempre effettuare una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione di comportamenti violenti, in un’ottica di prioritaria sicurezza delle vittime o persone in pericolo, che non può essere affidata alla iniziativa delle stesse (n. 46797/2023).