Famiglia

Mantenimento per il figlio ultratrentenne solo se si è attivato per un'occupazione lavorativa più stabile

In continuità con l'indirizzo inaugurato con l'ordinanza n.17183 del 14 agosto 2020, la Suprema Corte con due recenti provvedimenti (n.27904/2021 e 32406/2021) richiede un accertamento concreto in ordine ai criteri indicati dalla giurisprudenza, prima di ritenere il figlio maggiorenne, ancora dipendente, senza sua colpa, dai genitori

di Francesca Perego Mosetti, Costanza Radice*

L'art.337 septies Codice Civile, dettato in relazione alla separazione e al divorzio dei genitori, prescrive che "Il Giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico"; in ogni caso, anche al di fuori della situazione di crisi coniugale, è pacifico che l'art.315 bis comma 1 del Codice Civile, laddove dispone che "Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni" si applichi non solo ai minori ma anche a coloro che abbiano già superato la soglia della maggiore età.

Con due recenti provvedimenti ( sentenza 13 ottobre 2021 n.27904 della Prima Sezione e ordinanza 8 novembre 2021 n. 32406 della Sesta Sezione) la Corte di Cassazione ha avuto occasione di tornare sul tema del diritto del figlio maggiorenne -in entrambi i casi, ultratrentenne- ad essere mantenuto dai genitori.

Nel caso portato all'attenzione della Prima Sezione, il Tribunale di Roma, decidendo in ordine al divorzio dei genitori, aveva riconosciuto alla figlia, maggiorenne ma ritenuta non autosufficiente, un assegno mensile di € 450,00. L'importo era stato poi ridotto dalla Corte d'Appello ad €.350,00, sulla considerazione che la cifra risultava eccessiva visto che la figlia, pur non potendo essere ritenuta indipendente, svolgeva comunque lavori saltuari e precari, anche se "in nero".

Evidenziati dal padre (ricorrente in Cassazione) e dalla madre (controricorrente) alcuni elementi contrapposti -tra cui in particolare, da un lato, che la figlia, ormai quasi trentacinquenne, non si sarebbe attivata per reperire un'attività lavorativa più stabile e, dall'altro lato, che ella sarebbe affetta, sin da piccola, da un disturbo della personalità- la Suprema Corte ha accolto il ricorso del padre -che aspira ad essere sollevato dall'assegno mensile- e ha rinviato alla Corte d'Appello di Roma.

Il rinvio contiene l'invito alla Corte territoriale a fare applicazione dei principi giuridici fissati dalla giurisprudenza, in continuità con la recente ed illuminante ordinanza n.17183 del 14 agosto 2020 , ed a svolgere, pertanto, i necessari accertamenti di fatto, tenuto conto di tutte le circostanze, comprese le condizioni di salute della figlia.

Nel caso sottoposto, invece, all'attenzione della Sesta Sezione, conclusosi con una declaratoria di inammissibilità del ricorso, la Suprema Corte ha, di fatto, confermato la decisione della Corte d'Appello di Caltanissetta che aveva revocato l'assegno di mantenimento a favore del figlio (ormai trentaduenne), che aveva abbandonato gli studi all'età di sedici anni, aveva poi frequentato dei corsi di formazione professionale, aveva avuto esperienze lavorative, seppur saltuarie, e rispetto al quale non risultavano sussistere circostanze oggettive o soggettive tali da giustificare il suo mancato inserimento nel mondo del lavoro.

La Sesta Sezione evidenzia, invero, come la Corte nissena abbia fatto corretta applicazione del principio di autoresponsabilità, che impone al figlio di non abusare del diritto al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, atteso che l'obbligo a carico dei genitori si giustifica solo nel contesto di un progetto educativo e di un percorso formativo, e che la sussistenza dei requisiti per il mantenimento va sempre ponderata con rigore man mano crescente in parallelo al crescere dell'età del figlio.

Stante l'esplicito richiamo effettuato dalla Prima Sezione alla sua precedente ordinanza n.17183/2020 -che sembra assumere, sempre più, l'autorevolezza di un leading case- rammentiamo che quel provvedimento, con motivazione molto approfondita, afferma che il figlio maggiorenne ha diritto ad essere mantenuto dai genitori soltanto se, ultimato il percorso formativo prescelto, dimostra di essersi adoperato in maniera diligente, puntuale ed effettiva per rendersi autonomo dal punto di vista economico, impegnandosi attivamente e solertemente per trovare un'occupazione in base alle reali opportunità lavorative offerte dal mercato del lavoro, anche -se del caso- ridimensionando le proprie iniziali aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di un lavoro consono alle proprie ambizioni.

La Corte di Cassazione ha valorizzato il principio generale di autoresponsabilità che, richiamato nei settori più diversi per delimitare secondo ragionevolezza il diritto soggettivo, governa anche le scelte di vita dei figli dopo il compimento della maggiore età, affermando che il diritto al mantenimento (che non ha natura assistenziale ma una funzione definita educativo/formativa) perdura oltre i diciotto anni solo per il tempo necessario al completamento del percorso formativo prescelto e successivamente per l'ulteriore lasso di tempo che possa ritenersi idoneo a procurarsi un lavoro; ebbene, non necessariamente l'impiego corrispondente al titolo di studio ottenuto in quanto, diversamente, si imporrebbe un sacrificio eccessivamente oneroso alle esigenze di vita dei genitori, ma -in caso di necessità- una qualsiasi occupazione, anche di livello non conforme alla formazione conseguita.

Novità si registrano anche sotto il profilo probatorio. Segnaliamo infatti come, con l'orientamento giurisprudenziale inaugurato nell'agosto 2020 l'onere probatorio, in ossequio al cd. principio di prossimità o vicinanza alla prova, competa non più al genitore che voglia liberarsi dell'obbligo di mantenimento ma al figlio che lo domanda, il quale deve provare -superando la presunzione dell'idoneità del reddito al raggiungimento della maggiore età- non solo la mancanza di indipendenza economica ma anche di aver curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari diligenza, operato nella ricerca di un lavoro.

Rammentiamo poi che, con l'importante pronunzia dell'agosto 2020, la Suprema Corte ha declinato i principi con suggerimenti pratici di grande efficacia, espressamente autorizzando il Giudice (e dunque anche le parti nello svolgimento del proprio ruolo processuale) a ricorrere anche a dati statistici (ovvero alla durata ufficiale degli studi, al tempo medio, in un dato momento storico ed – aggiungiamo noi – in un dato ambito territoriale, per il reperimento di un'occupazione) per individuare un limite temporale al diritto al mantenimento.

In ultimo, pare opportuno evidenziare che in ogni caso, anche qualora il figlio o la figlia maggiorenne non avesse più il diritto al mantenimento, permarrebbe sempre, a carico di entrambi i genitori e ricorrendone i relativi presupposti, l'obbligo alimentare di cui all'art.433 codice civile, che, notoriamente, presuppone lo stato di bisogno del richiedente e l'impossibilità per costui di procurarsi in altro modo di che vivere; ha un contenuto più limitato dell'assegno di mantenimento essendo parametrato solamente a quanto necessario alle esigenze di vita del beneficiario e quindi alla soddisfazione di bisogni primari ed essenziali.

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*A cura degli avv.ti Francesca Perego Mosetti, Studio legale Perego Mosetti - Partner 24 ORE Avvocati e Costanza Radice, Studio legale Radice Verbania

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