Penale

Marijuana in casa, connivenza non punibile per il convivente

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di Andrea Alberto Moramarco

In caso di detenzione o coltivazione di sostanze stupefacenti all'interno dell'abitazione del convivente, quest'ultimo non è imputabile per concorso nel reato se non viene dimostrato il suo apporto alla condotta criminosa del partner, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso, configurandosi in tal caso una mera connivenza non punibile. Questo è quanto si desume dalla sentenza della Corte d'appello di Roma n. 6346/2019.

Il caso - La vicenda oggetto della decisione riguarda una coppia di conviventi, trovati in possesso presso l'abitazione di proprietà della donna di un quantitativo di marijuana pari a 110 g. e a 19 piante di Cannabis Indica, da cui era complessivamente possibile ricavare oltre 380 dosi. Tratti a giudizio per rispondere del reato ex articolo 73 del testo unico in materia di stupefacenti (Dpr n. 309/1990) in concorso tra loro, i due venivano condannati dal Tribunale, che non prendeva in considerazione la tesi del consumo personale della sostanza, in relazione all'uomo, per la mancanza in casa sia di contanti che di buste di confezionamento; né la tesi dell'assenza di concorso nel reato, in relazione alla donna, per la mancanza della prova di un suo contributo alla coltivazione e custodia della sostanza medesima.

La distinzione tra connivenza non punibile e concorso di reato - Giunti in appello, il verdetto rimane immutato circa la posizione dell'uomo, per via del quantitativo sproporzionato rispetto alla finalità di uso personale, ma cambia nei confronti della donna. Ebbene, secondo la Corte d'appello nella fattispecie non si è in presenza di un concorso nel reato, bensì di una cosiddetta connivenza non punibile, ovvero quella situazione nella quale un soggetto è a conoscenza della commissione di un reato ma non arreca alcun contributo alla sua realizzazione, né sotto il profilo causale né sotto il profilo psicologico.
In altri termini, spiega il Collegio, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ai reati in materia di stupefacenti, si configura una connivenza non punibile «a fronte di una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito». Ciò posto, nel caso di specie, secondo i giudici, non è ben spiegato dall'accusa il tipo di apporto che la donna può aver dato alla consumazione del reato da parte del compagno, non potendo essere confusa la titolarità dell'immobile in cui è stata rinvenuta la sostanza stupefacente con una partecipazione effettiva all'azione criminosa.

Corte d'appello di Roma - Sezione II penale - Sentenza 15 maggio 2019 n. 6346

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