Penale

Né minaccia né oltraggio al pubblico ufficiale per lo sfogo del detenuto

Né risulta integrato il reato di oltraggio al pubblico ufficiale qualora lo sfogo consista nella mera espressione di sentimenti ostili verso il sistema carcerario e non nei confronti dell'operante

di Andrea Alberto Moramarco


Non è condotta sufficiente a integrare il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale il mero sfogo del detenuto, che non sia cioè direttamente offensivo nei confronti dell'operante che riveste la qualità di pubblico ufficiale e che non sia tale da costringere quest'ultimo a compiere un atto contrario ai propri doveri. Né risulta integrato il reato di oltraggio al pubblico ufficiale qualora lo sfogo consista nella mera espressione di sentimenti ostili verso il sistema carcerario e non nei confronti dell'operante. Ad affermarlo è il Tribunale di Lecce con la sentenza n. 1213/2021.

Il caso
Al centro della vicenda c'è un detenuto il quale, mentre era intento a prestare assistenza a un altro detenuto all'interno dell'ambulatorio dell'infermeria per espletare l'attività lavorativa di assistente alla persona, si lamentava nei confronti del sovraintendente asserendo che costui non gli aveva concesso di svolgere la mansione di piantone per il suo compagno di stanza. Di qui una serie di affermazioni offensive e di lamentele nei confronti della gestione della casa circondariale e in generale nella vita in quel carcere. Tali frasi portavano poi all'apertura di un procedimento penale nei suoi confronti per i reati di minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale.

La decisione
L'accusa viene però nettamente respinta dal Tribunale, per il quale il fatto di reato non sussiste. Il giudice sottolinea come il comportamento serbato dall'imputato «risulta sfornito di qualsivoglia concreta idoneità a coartare la libertà di azione del sovraintendente», ovvero ad offendere l'onore e il prestigio di quest'ultimo, palesandosi quale «mera protesta avverso una decisione d'Autorità non condivisa».
Il detenuto ha cioè manifestato «seppur con toni forti ed innegabile turpiloquio» il proprio malcontento legato al mancato espletamento della mansione di piantone in favore del compagno di stanza. Si è trattato, in sostanza, di un incauto sfogo manifestato in un momento di palese nervosismo non rivolto direttamente nei confronti dell'operante, bensì verso l'«istituzione carceraria complessivamente considerata». Tutto ciò, chiosa il Tribunale, non può portare a una condanna penale.

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