Penale

Nessuna attenuante per chi ruba le offerte dei fedeli in chiesa

La Cassazione nega le attenuanti generiche all'imputato che si è impossessato di 150 euro dalla cassetta delle offerte durante la celebrazione della messa

di Marina Crisafi

Niente attenuanti al soggetto che si è impossessato delle offerte dei fedeli in Chiesa. Così ha stabilito la quarta sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 2654/2023) rigettando il ricorso di un uomo ritenuto responsabile del reato di furto, insieme a un complice, per essersi impossessato della cassetta destinata alle offerte dei fedeli contenente circa 150 euro mentre era in corso la celebrazione della messa.

 

La vicenda

Nella vicenda, la corte d’appello di Genova confermava la condanna a 6 mesi di carcere e 200 euro di multa, applicando l'attenuante di cui all'articolo 62 n. 4 del Cp, equivalente all'aggravante di cui all'articolo 625, n. 7, del Cp e alla recidiva e operando la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito (ndr, giudizio abbreviato).

L’uomo proponeva tempestivo ricorso al Palazzaccio, lamentando che il giudice d’appello, pur dando atto delle sue difficili condizioni di vita, non avesse ritenuto che le stesse potessero determinare una riduzione della pena, non valutandole, contrariamente a quanto affermato, ai fini dell’applicazione delle attenuanti generiche (essendo stata applicata, soltanto, l'attenuante di cui all'articolo 62, n. 4, del Cp).

 

La decisione

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso non merita accoglimento.

Non v'è dubbio, infatti, secondo i giudici, che la motivazione fornita dalla Corte d’appello sia viziata nella parte in cui afferma che le disagiate condizioni di vita dell’imputato, sono state valutate ai fini dell'applicazione delle attenuanti generiche, perché di fatto le stesse non sono state concesse.

Ciononostante, sottolineano da piazza Cavour, «gli errori logici o di fatto da cui sono inficiati alcuni degli argomenti enunciati in una sentenza non valgono a determinarne l'annullamento quando altre ragioni ed argomenti incensurabili ed autonomi rispetto a quelli viziati giustificano in modo adeguato la decisione». In altre parole, quando il convincimento del giudice poggia su più ragioni distinte, ciascuna delle quali idonea a giustificare la decisione adottata, «i vizi logici o giuridici relativi ad una sola di tali ragioni non inficiano la decisione che trova adeguato sostegno negli altri motivi non affetti da quei vizi» (cfr., tra le altre, Cassazione n. 37466/2021).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che la pena inflitta fosse adeguata al fatto in ragione dei numerosi e gravi precedenti specifici e ha desunto da ciò che l’imputato abbia improntato la propria condotta di vita alla commissione di illeciti per procurarsi i mezzi necessari alla sopravvivenza. Inoltre, il giudice ha evidenziato, «la particolare riprovevolezza della condotta posta in essere perché tenuta in un luogo di culto e avente ad oggetto un bene (la cassetta contenente le offerte dei fedeli), di facile aggredibilità, perché lasciato a disposizione dei fedeli stessi».

Per l’orientamento consolidato della giurisprudenza, conclude la Suprema corte, «la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. o richiama alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (cfr., ex multis, Cassazione n. 36104/2017).

Nella fattispecie, la pena inflitta è di poco superiore al minimo edittale e di gran lunga inferiore alla pena media edittale. La motivazione fornita dalla corte d’appello, inoltre, non si limita a fare rinvio ai criteri di cui all'articolo 133 e non ignora gli argomenti addotti dalla difesa a sostegno di un trattamento sanzionatorio più mite, resistendo comunque ai rilievi del ricorrente. Per cui il ricorso è rigettato.

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