Famiglia

Niente riconoscimento se il padre per cultura prevarica le donne

Accolto il ricorso della madre italiana contro il padre egiziano

di Patrizia Maciocchi

Non è nell’interesse della minore essere riconosciuta dal padre naturale di religione mussulmana, se portatore di un modello culturale violento e prevaricatore nei rapporti con le donne. Grazie alla Cassazione (sentenza 18600) , una madre italiana vince, solo nell’ultimo grado di giudizio, la partita ingaggiata contro il padre naturale di sua figlia che, dopo averla invitata più volte ad interrompere la gravidanza, rivendicava il ruolo di genitore. Nei progetti del padre biologico anche l’idea di portare la figlia in Egitto, suo paese d’origine, per farla educare dalla nonna paterna secondo i dettami della sua religione. Una minaccia, unita a comportamenti aggressivi nei confronti della figlia e della compagna, che non aveva impedito il via libera al riconoscimento. Per la Corte d’appello, infatti, l’intenzione di dare alla bambina una formazione non occidentale era ininfluente nell’azione per ottenere la filiazione, visto che restano estranee al giudizio le questioni relative all’affidamento, al mantenimento, all’istruzione, all’educazione e alla gestione degli interessi patrimoniali della minore. La ricorrente contestava ai giudici di merito di aver sottovalutato la condotta violenta del padre naturale, considerata, evidentemente, non sufficiente a superare la presunzione dell’interesse della minore. Di parere diverso la Cassazione. Lo stesso procuratore generale, che chiede di accogliere il ricorso della madre, bacchetta la Corte territoriale pernon aver indicato le ragioni che l’hanno convinta a considerare il secondo riconoscimento - la bambina alla nascita era stata riconosciuta solo dalla madre - nell’interesse superiore della minore. E dunque in grado di assicurare il benessere della figlia e una sua crescita armoniosa, con un giusto bilanciamento tra stabilità dei rapporti familiari e verità biologica.

La Suprema corte, in linea con il Pg, sottolinea i passi in avanti fatti dalla giurisprudenza in tema di filiazione. Per quanto riguarda il secondo riconoscimento, infatti, si è passati da un principio in base al quale questo poteva essere negato solo per motivi gravi e irreversibili, tali da far pensare ad un forte pregiudizio per lo sviluppo psico fisico del minore, all’idea che il sì alla richiesta debba rispondere ad un interesse interesse effettivo del figlio, superando qualunque automatismo sul presunto vantaggio per la prole. Un cambio di passo in cui gli affetti pesano più della verità biologica e la personalità delle figure in gioco va valutata oltre i legami di sangue. Il ricorso della madre va accolto e la sentenza annullata con rinvio. I giudici territoriali dovranno dare la giusta rilevanza all’abituale «condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere». Caratteristiche che non potevano essere sottovalutate.

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