Niente rinnovo del permesso di soggiorno per lo straniero “pericoloso”
È legittimo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, anche se ottenuto per ricongiungimento familiare, per l'extracomunitario che «in un arco di tempo breve e relativamente vicino» abbia dimostrato «una personalità incline a comportamenti in grado di generare significativo allarme sociale». Lo ha stabilito Corte d'Appello di Milano con la sentenza 6 marzo 2015 n. 1062 accogliendo il ricorso del ministero dell'Interno.
La vicenda - Il questore di Milano aveva rigettato la richiesta di rinnovo formulando un giudizio di pericolosità sociale - «capacità e propensione a delinquere, concreta ed attuale» - a seguito di una condanna per rissa aggravata ed al fermo di polizia perché gravemente indiziato dell'omicidio di un cittadino egiziano. Il tribunale di Milano, però, aveva accolto il ricorso dell'extracomunitario rilevando «l'assenza a carico del ricorrente di condanne irrevocabili imprescindibili per un giudizio di pericolosità sociale» ostativo alla permanenza nel territorio. Contro questa decisione il Ministero ha proposto appello. Lo straniero ha resistito richiamando la clausola di salvaguardia della coesione familiare (articolo 5 Dlgs 286/98) che preclude ogni automatismo nell'adozione di provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno.
La giurisprudenza - La sentenza, preliminarmente, ha richiamato i «consolidati principi» affermati dalla Corte di legittimità, e favorevoli all'immigrato, secondo cui l'assetto normativo (conseguente alle modifiche introdotte dal Dlgs 5/07, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2003/86/CE) «esclude qualsiasi automatismo nella derivazione di un giudizio di pericolosità sociale dai precedenti penali dello straniero». Ed ha aggiunto che in presenza di condanne per reati legati all'immigrazione «occorre un'accorta valutazione degli elementi che inducono a ritenere l'attualità della pericolosità, tenendo conto di vincoli familiari dell'interessato e anche della durata del soggiorno». In definitiva, occorre accertare caso per caso «l'effettiva sussistenza di comportamenti socialmente pericolosi senza limitarsi a generiche presunzioni, tenendo in debito conto anche gli ulteriori elementi quali la durata del soggiorno in Italia e il radicamento sociale».
La motivazione - Ciò detto, però, per la Corte di secondo grado, l'impugnazione del Ministero è fondata in quanto il provvedimento amministrativo nel negare il rinnovo ha tenuto conto di «plurimi elementi», formulando «un giudizio di pericolosità non in astratto, bensì in concreto, connettendolo non solo alla intervenuta sentenza di condanna di primo grado per il reato di rissa, ma anche a un procedimento pendente per minaccia e al provvedimento di fermo per il reato di omicidio». Mentre la successiva condanna a dieci anni, osserva la sentenza, «non può che corroborare la valutazione del Questore, considerata l'oggettiva gravità del reato, in grado di generare significativo allarme sociale». Non solo, successivamente, l'extracomunitario è stato nuovamente condannato per il reato di rissa aggravata, «con implicita prognosi negativa sul suo futuro comportamento».
Dunque, al di là dell'esercizio di una attività lavorativa, lo straniero «non ha effettuato un positivo radicamento sociale, rappresentando una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione del vincolo familiare che ha dato luogo al ricongiungimento».
Corte d'Appello di Milano - Sezione della Persona e della Famiglia - Sentenza 6 marzo 2015 n. 1062