Famiglia

No all’adottabilità del figlio minore solo perché la madre è succube del marito violento

Per le Sezioni unite della Cassazione occorre evitare che l’adozione si traduca in una vittimizzazione secondaria della donna

di Giorgio Vaccaro

La madre non può essere giudicata inidonea a svolgere il ruolo genitoriale solo perché vive in stato di soggezione nei confronti del partner violento, tanto da avere ritirato, per paura, la denuncia nei suoi confronti. E il figlio minore non può essere dichiarato in stato di abbandono (e quindi adottabile) sulla base della condizione di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versa la madre a causa delle violenze subite dal partner. Occorre evitare, infatti, che l’adozione si traduca in una «vittimizzazione secondaria» della madre. È l’importante principio affermato dalla Cassazione a Sezioni unite che, con la sentenza 35110 depositata il 17 novembre 2021, ha cassato la pronuncia della Corte d’appello di Roma che aveva confermato lo stato di abbandono della figlia minore, a seguito degli atti di violenza e di maltrattamento posti in essere dal padre a danno della madre.

Secondo le Sezioni unite, infatti è possibile parlare di stato di adottabilità, in base all’articolo 15 della legge 184/1983 «solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificatamente dimostrati in concreto, e dei quali il giudice di merito deve dare conto nella decisione, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure formulati da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali». Con queste indicazioni, le Sezioni unite sgombrano il campo dalle “lettura supine” delle relazioni peritali da parte dei giudici, prive di un preciso e circostanziato richiamo a “elementi fattuali”.

Entrando nel merito della dichiarazione di adottabilità della figlia minore, i giudici chiariscono che «in forza della normativa espressa dall’articolo 7 della Carta di Nizza, articolo 8 della Cedu e articolo 18 della Convenzione di Istanbul, e della pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia, una pronuncia di stato di abbandono di un minore, ai sensi dell’articolo 8 della legge 184/1983, non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall’altro». Un principio di diritto innovativo con cui le Sezioni unite vogliono sottolineare il superamento di ogni lettura dei fatti che possa portare il giudice del merito a dichiarare lo stato di adottabilità del minore sul presupposto di una incapacità genitoriale che si basi su insufficienze, debolezze e patologie, quali esser in stato di soggezione o di paura rispetto al marito e di aver per paura, ritirato la denuncia nei suoi confronti.

Infatti, la convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, all’articolo 18 stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano a evitare la “vittimizzazione secondaria”, che consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato e che è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti a una denuncia, o comunque all’apertura di un procedimento giurisdizionale. Tale è l’effetto, secondo la sentenza delle Sezioni unite, che ha avuto sulla ricorrente l’aver aperto la procedura di adozione nei confronti di sua figlia. Il giudice territoriale, là dove basi lo stato di adottabilità sulla dipendenza e sulla sudditanza della donna nei confronti del marito che l’ha sottoposta a violenze e vessazioni continue nel corso della vita coniugale, tanto da esser condannato in via definitiva per il reato di maltrattamenti in famiglia, non applica correttamente la legge. In tali ipotesi, dunque, non potrà più essere dichiarata l’adottabilità ma, al contrario, dovranno essere attivate tutte le risorse possibili per tutelare il legame tra il genitore-vittima e il figlio minore.

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