Famiglia

No all’assegno divorzile a chi non ha contribuito alla vita familiare

La Cassazione esclude il beneficio per l’ex marito: non basta la sproporzione tra i redditi

di Selene Pascasi

Non basta la sproporzione di reddito per far scattare l’assegno di divorzio. A contare, oltre alla durata del matrimonio, è anche il contributo dato dal coniuge al ménage familiare ma si tratta di elementi che il richiedente deve provare. Lo ricorda la Corte di cassazione con l’ordinanza 11817 del 12 aprile 2022.

A domandare l’assegno divorzile, all’ex moglie, è questa volta l’ex marito che – vedendosi respingere l’istanza di primo riconoscimento da parte del Tribunale, considerata l’autosufficienza economica di entrambe le parti – incassa una seconda sconfitta in appello. Secondo i giudici dell’appello, infatti, la situazione economica e patrimoniale non era cambiata e comunque poteva dirsi praticamente paritaria: lui percepiva due pensioni, per via della malattia che gli aveva impedito di proseguire nell’attività di agente di commercio, mentre lei era mantenuta dai due figli maggiorenni e autosufficienti.

Decisione iniqua per il divorziato, che si rivolge alla Corte di cassazione affidandosi a tre motivi di ricorso, tutti ritenuti inammissibili. L’ultimo, relativo all’insufficiente motivazione sul mancato ordine di deposito delle dichiarazioni dei redditi della signora, viene bocciato per evidente genericità.

Gli altri due, invece, vengono respinti poiché finalizzati a censurare carenze istruttorie in sede di accertamento di un’effettiva sperequazione reddituale tra moglie e marito. Peraltro, secondo il ricorrente, l’ex consorte, con riferimento ad alcuni beni immobiliari ereditati dalla madre, aveva tentato persino di occultare la propria capacità economica.

Ricostruzione che non trova l’adesione della Cassazione. A prescindere dall’eventuale spiccata disparità di sostanze tra gli ex, mancavano i requisiti per poter riconoscere all’ex marito il diritto all’assegno divorzile. Il trattamento, del resto, non scatta automaticamente per il semplice divario tra i redditi e le entrate di ciascuna delle parti. L’assegno, come sancito dalla Cassazione a Sezioni Unite con pronuncia 18287/2018, ha due componenti: una assistenziale e una perequativo-compensativa così da ribilanciare i rapporti tra gli ex qualora, per esempio, uno dei due – con il consenso dell’altro – abbia a suo tempo scelto di non lavorare per restare a casa e dedicarsi alla famiglia. Ma anche questo è un fattore che va provato.

Ebbene, nella vicenda, l’uomo non aveva né dedotto né tantomeno dimostrato di aver contribuito alla formazione del patrimonio comune o alla gestione usuale del ménage familiare per cui la sola differenza reddituale ed economica tra le sua condizione e quella della ex, seppur ipoteticamente accertata mediante le invocate indagini tributarie, non sarebbe stata in ogni caso elemento sufficiente per giustificare il riconoscimento di un assegno di divorzio in suo favore. Queste le ragioni per le quali la Corte di cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’ex marito a pagare le spese del processo.

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