Civile

Non accessibilità digitale di prodotti e servizi, la mancata informazione può configurare una pratica commerciale ingannevole

L’omissione di informazioni potrebbe falsare il comportamento economico di un solo gruppo di consumatori particolarmente vulnerabili

di Christian Di Mauro e Guido Di Stefano*

Sebbene attualmente non esista un obbligo esplicito di commercializzare solo prodotti e servizi accessibili, le imprese devono considerare i rischi legati all’omessa informazione riguardo alla non accessibilità digitale dei propri prodotti e servizi. Invero, tale condotta potrebbe costituire una pratica commerciale ingannevole ai sensi del Codice del Consumo, esponendo le imprese al rischio di sanzioni, nonché di azioni legali da parte delle persone con disabilità. Pertanto, promuovere una corretta comunicazione in tema di accessibilità digitale non solo favorisce l’inclusione e il rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli individui, ma contribuisce a ridurre i rischi legali per le imprese.

La trasformazione digitale, che con la pandemia di COVID-19 ha avuto una notevole accelerazione, ha reso più evidente l’esigenza di assicurare l’accessibilità digitale di prodotti e servizi. Con la Web Accessibility Directive (o “WAD”) e, da ultimo, con l’European Accessibility Act (o “EAA”), l’Unione Europea ha ribadito l’importanza di un approccio inclusivo nella progettazione e nella commercializzazione di prodotti e servizi digitali, in linea con i principi espressi dall’art. 9 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, secondo cui gli stati aderenti – tra cui Italia e UE – devono promuovere l’accesso delle persone con disabilità alle nuove tecnologie e ai sistemi di informazione e comunicazione digitali. 

L’EAA e il relativo decreto di recepimento prevedono che – a partire dal 28 giugno 2025 – taluni prodotti (es. computer, smartphone, tablet, etc.) e taluni servizi (es. app di messaggistica o relative a servizi di media audiovisivi) devono essere accessibili. Allo stesso modo, ai sensi della Legge Stanca , imprese di grandi dimensioni che offrono servizi al pubblico sono soggette a vari obblighi di accessibilità tra cui la predisposizione di siti web e app accessibili.

Nonostante una chiara esigenza sociale, la normativa in materia di accessibilità in Italia è ben lontana dall’essere matura e non esiste, ad oggi, un obbligo generalizzato per le imprese di commercializzare esclusivamente prodotti e servizi accessibili.

Pur in assenza di un tale obbligo, le imprese non possono ignorare il tema dell’accessibilità digitale e, in ossequio agli obblighi generali di trasparenza e chiarezza nella comunicazione con i consumatori, devono fornire chiare informazioni riguardo all’accessibilità dei prodotti e servizi digitali offerti. 

L’art. 22 del Codice del Consumo definisce pratica commerciale ingannevole la condotta di chi: (i) omette , ovvero presenta in modo oscuro o intempestivo, informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per adottare una consapevole decisione di natura commerciale; (ii) induce il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

L’omissione di informazioni cruciali sulla mancanza di accessibilità digitale potrebbe, quindi, configurare una pratica commerciale ingannevole, laddove un consumatore con disabilità acquisti un prodotto o servizio ritenendolo impropriamente accessibile. In altre parole, i consumatori con disabilità potrebbero acquistare a “ scatola chiusa ” prodotti o servizi non accessibili. Ciò rappresenterebbe una violazione dell’art. 22 del Codice del Consumo poiché il consumatore con disabilità, a causa dell’assenza di qualsivoglia indicazione sulla non accessibilità del prodotto, sarebbe indotto ad assumere una decisione di natura commerciale – i.e. l’acquisto del prodotto o del servizio – che altrimenti non avrebbe preso.

Ciò a maggior ragione se si considera il dettato dell’art. 20, comma 3, del Codice del Consumo. Tale previsione disciplina l’ipotesi in cui una pratica commerciale che – pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori – falsi il comportamento economico di un solo gruppo di consumatori particolarmente vulnerabili per via, inter alia, della loro infermità mentale o fisica. In una simile ipotesi, il “consumatore medio”, attraverso la cui lente va valutata la scorrettezza della pratica medesima, sarà il consumatore medio particolarmente vulnerabile.

I rischi sono tutt’altro che trascurabili. Ai sensi dell’art. 27, co. 9, del Codice del Consumo, una volta accertata la pratica commerciale scorretta, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000.000,00 € tenuto conto della gravità e della durata della violazione e anche delle condizioni economiche e patrimoniali dell’impresa.

Altri rischi legali derivano dalla Legge 1 marzo 2006, n. 67, la quale consente alle persone con disabilità (anche rappresentate da enti o associazioni per le pari opportunità) di tutelarsi dinanzi alle autorità giurisdizionali a seguito di atti discriminatori, anche indiretti – ossia quando “un comportamento apparentemente neutr[o] [come l’omissione di informazioni non richieste esplicitamente da alcuna norma di legge] mett[e] una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone” (v. art. 2, co. 3). Come alcuni recenti casi di cronaca hanno evidenziato, i procedimenti dinanzi all’AGCM o le vicende giudiziarie di un soggetto possono generare un’eco mediatica notevole che può danneggiare la reputazione di un’impresa e minare irreparabilmente la fiducia dei consumatori.

Di fronte a questi rischi, è consigliabile che le imprese adottino un approccio proattivo verso l’accessibilità digitale, sia nell’implementazione di processi di progettazione inclusivi in fase di sviluppo del prodotto o del servizio, sia nella formazione del personale sulle migliori pratiche in materia di accessibilità. Inoltre, le imprese dovrebbero valutare attentamente come comunicare l’eventuale mancanza di completa accessibilità di un prodotto o servizio digitale. La trasparenza e la chiarezza nella comunicazione sono essenziali per dimostrare il proprio impegno verso l’inclusione e il rispetto dei diritti delle persone con disabilità, ma anche per evitare procedimenti amministrativi o azioni legali e proteggere la reputazione aziendale.

Anche laddove si scelga di non fornire in etichetta una puntuale informazione circa l’eventuale carenza di accessibilità di un prodotto o servizio, le imprese dovrebbero considerare seriamente alcune soluzioni alternative. Ad esempio, un approccio più pragmatico potrebbe consistere nel predisporre una pagina web, a sua volta accessibile e idealmente richiamata da un QR code in etichettatura, nella quale includere tutte le funzioni di accessibilità dei singoli prodotti venduti.

In conclusione, l’accessibilità digitale è diventata una priorità normativa e sociale, e le imprese devono adattarsi a questo cambiamento fornendo prodotti accessibili e informazioni chiare. Questo non solo riduce i rischi legali, ma promuove anche l’inclusione e il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo.

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*A cura di Christian Di Mauro (Partner, Head of Italy Litigation, Hogan Lovells) e Guido Di Stefano (Associate, Litigation, Hogan Lovells)

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