Non è truffa indicare all’acquirente una classe energetica più elevata
Per la Cassazione mancano gli elementi costitutivi del reato
Il bene giuridico tutelato dal reato non sempre è lo stesso preso in considerazione dal Codice civile. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza 31933/2021) che ha dichiarato inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di 2mila euro alla Cassa ammende, il ricorso avverso una sentenza di assoluzione del costruttore-venditore di un immobile che aveva dichiarato, al rogito, una classe energetica diversa da quella effettiva.
La querela
L’acquirente aveva querelato, per il reato di truffa, il progettista e direttore dei lavori e il legale rappresentante di un’impresa che avevano realizzato un complesso immobiliare in quanto, a suo dire, avrebbero falsamente attestato, con artifici e raggiri, la classe energetica A, difforme da quella effettiva, in modo di ingannare gli acquirenti delle unità immobiliari, in relazione al contratto di vendita ed al prezzo di acquisto. Il Tribunale affermava che se, nel corso del giudizio, non fosse stata raggiunta la prova degli artifici e dei raggiri, non sussistesse un danno di deprezzamento degli immobili e sosteneva che gli elementi acquisiti potevano avere rilievo solo innanzi al giudice civile.
La Corte di appello condivideva quanto affermato dal primo giudice, e sosteneva che l’intera vicenda aveva rilievo civilistico, e non penale: mancava la prova che gli imputati si fossero messi d’accordo per ingannare sull’errata qualifica energetica.
La sentenza della Cassazione
Il ricorrente si spingeva in Cassazione, sostenendo che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il dolo, elemento costitutivo del reato di truffa, non è diverso da quello che vizia il consenso negoziale. La Corte di cassazione sosteneva che i giudici di merito avessero bene analizzato le attività dei querelati e le loro condotte strumentali, di carattere asseritamente artificioso, finalizzate ad indurre in errore gli acquirenti degli immobili e avessero escluso che ricorressero gli elementi costitutivi del reato. Infatti, nel caso trattato, l’ipotesi accusatoria sosteneva che le plurime condotte sono durate nel tempo, ma il giudice di legittimità riteneva che le stesse non dimostrassero un intento ingannatorio degli acquirenti. Per la Cassazione, nel caso trattato, mancava la prova dell’esistenza e della condivisione da parte degli imputati di un progetto fraudolento sfociato negli atti negoziali di compravendita o anche di un dolo successivo al momento della stipula.