Penale

Non può essere punito il semplice tentativo di mercato di voto

L’accordo per condizionare l’esito del concordato deve essere concluso

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di Giovanni Negri

Non basta il semplice tentativo per sanzionare il mercato di voto sul concordato preventivo. Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 46839 depositata ieri con la quale è stato accolto il ricorso dell’ex amministratore delegato di Acea contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che gli aveva inflitto 11 mesi di reclusione e una multa riconoscendolo colpevole del reato previsto dall’articolo 233 della Legge fallimentare .

Per la Corte tuttavia la pronuncia deve essere annullata perché il fatto non sussiste a fronte dell’assenza di trattative bilaterali. La Cassazione ricorda infatti che il mercato di voto punisce anche gli accordi tra il creditore e il fallito con l’obiettivo di determinare il voto del creditore nella procedura di concordato . Una fattispecie che, per come è configurata, rinvia alla stipulazione , «ossia a un concetto giuridico che implica l’incontro libero e consapevole della volontà delle parti». La norma ha come obiettivo quello di sanzionare comportamenti idonei a falsare le operazioni di voto dei creditori con alterazione della regolarità della procedura fallimentare ma interviene a garantire anche la regolarità delle scelte nel contesto degli istituti che governano la fase prefallimentare, come il concordato.

In assenza di altre indicazioni da parte della norma sulle modalità della condotta, «rimane evidente la struttura consensuale e bilaterale del reato che si perfeziona quindi con la consacrazione del patto illecito tra i privati».

È necessario quindi, prosegue la Cassazione, per ritenere punibile la condotta, che la trattativa sia arrivata a uno stadio tale da rendere assolutamente idonei gli atti compiuti alla conclusione di un’intesa e che l’accordo poi non sia stato concluso per cause indipendenti dalla volontà degli autori: «sicché ove, invece, la proposta proveniente da una delle parti sia rimasta, come nel caso di specie, non accolta dall’altra neppure in termini di avvio di una trattativa, il tentativo non è configurabile».

Il reato di mercato di voto è, puntualizza la sentenza, riconducibile alla categoria della corruzione e, rimanendo in ambito privatistico, alla corruzione tra privati (disciplinata dall’articolo 2635 del Codice civile che, però, nella sua nuova formulazione prevede che l’ipotesi della sollecitazione di denaro o altre utilità non dovuti, sanzionata di per se stessa). Ma se la condotta si è esaurita nella proposta di una delle parti che al limite può costituire una “semplice” istigazione, allora, in assenza di una misura specifica, il semplice tentativo non può essere punito. Inutile anche la mossa della pubblica accusa di riqualificare il reato come tentata estorsione.

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