Civile

Notifica inesistente se la pec non è iscritta ai pubblici registri

Nota a CTR CAMPANIA, sentenza 6 ottobre 2021, n. 7080

di Angelo Lucarella

Dopo le prime timide decisioni sul tema, pian piano, i Collegi tributari stanno prendendo maggior consapevolezza della questione relativa all'illegittima notificazione di atti esattoriali tramite pec non iscritta ai pubblici registri. Tra le ultime analizzate c'è stata la n. 101 dep. 05.02.2021 emessa dalla Commissione provinciale tarantina.

Ora c'è anche un collegio di secondo grado a confermare l'orientamento giurisprudenziale per cui la notifica pec da indirizzi non iscritti a pubblici registri non è nulla, ma radicalmente inesistente.

È la Commissione Regionale della Campania che con la sent. n. 7080 del 24.09.2021 , dep. 06.10.2021, ribaltando la decisione di primo grado (di rigetto del ricorso del contribuente), ha recentemente affermato che, in riguardo all'impugnativa di una intimazione di pagamento, la notifica pec non sarebbe "suscettibile di sanatoria" una volta fatto ricorso.

Ciò stando a significare che ricorrere in via diretta (e non con la tecnica al buio) avverso un atto esattoriale giunto nella sfera del contribuente in maniera illegittima apre spazio di possibilità tale per cui il rimedio giudiziale, nell'ottica dell'art. 24 della Costituzione, è volto a far dichiarare l'inesistenza del fatto giuridico.

Infatti, proseguendo nella motivazione campana che si può leggere nel testo sentenziale, l'indirizzo di posta elettronica certificata utilizzato per la notifica dell'atto impugnato dal cittadino è "non risultante in nessun Registro Pubblico" Reginde o IndiceIPA che sia.

Quanto innanzi sta a determinare la conseguenza che l'intimazione di pagamento, per i decidenti vesuviani, non sarebbe neanche "riconducibile direttamente all'ente deputato all'esazione
", implicitamente, rifacendosi ai principi della legge n. 241/90.
Non solo.

Il consesso campano ha, inoltre, motivato su un altro aspetto particolare della vicenda giudiziale: il contribuente aveva eccepito la nullità delle cartelle e dell'intimazione per assenza di valida sottoscrizione digitale.

Orbene, nel primo caso i decidenti hanno optato per la correttezza formale atteso che "tenuto anche conto dell'orientamento nomofilattico (Sez. 5 - Ordinanza n. 30948 del 27/11/2019), in caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso".

Nel secondo caso, invece, tutto l'opposto ovvero motivando che "si aderisce a quell'orientamento per cui, in virtù di una regola procedurale rinvenibile in diverse previsioni normative, ed estensibile al procedimento tributario, è priva di effetti giuridici".
In buona sostanza, collegandosi quest'ultimo passaggio al come è stata posta la questione dal contribuente, si è poi in conclusione arrivati a determinare che "l'assenza di qualsivoglia firma digitale (Cades e/o Pades) apposta sulla impugnata intimazione di pagamento" è in "violazione del disposto normativo
".

Una decisione, quella qui in analisi, che si presta a radicare fortemente la parità di trattamento tra pubblico e privato, costituzionalmente prevista, nonché una delle più ampie tutele Cedu (come quella di cui all'art. 1 del prot. add.le di Parigi del 1952) e, in ultimo ma non ultimo, a rendere vivo il principio di integrità patrimoniale stadiato dall'art. 8 dello Statuto del contribuente.

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