Penale

Notifica presso il difensore valida anche se l'imputato non è "irreperibile"

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 26809 depositata oggi e segnalata per il "Massimario"

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di Francesco Machina Grifeo

Sì alla notifica dell'appello presso il difensore dell'imputato anche se l'assenza dal domicilio è solo temporanea oppure se il luogo non è facilmente individuabile. Non è dunque necessario procedere a delle vere e proprie indagini per attestarne l'irreperibilità. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 26809 depositata oggi e segnalata per il "Massimario".

Respinto dunque il ricorso di un uomo condannato a 4 anni e 9 mesi, e 16.800 euro di multa, per atti sessuali "virtuali" con infra quattordicenni. L'imputato aveva proposto ricorso affermando, tra l'altro, di non aver ricevuto il decreto di citazione per il giudizio di appello.

"La nullità conseguente alla notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia – spiega la Terza sezione penale -, anziché presso il domicilio dichiarato, è di ordine generale a regime intermedio, in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore". "A ciò deve aggiungersi – prosegue - che, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 58120/2017), l'impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l'esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., è integrata anche dalla temporanea assenza dell'imputato al momento dell'accesso dell'ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l'irreperibilità dell'imputato, doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art. 157 cod. proc. pen.".

Non vi è dunque spazio, prosegue la decisione, per l'accoglimento delle doglianze difensive, posto che, come risulta dal fascicolo processuale, all'udienza aveva presenziato l'avvocato difensore di fiducia, che nulla aveva eccepito in merito alla notifica da lui ricevuta ai sensi dell'articolo 161 comma 4 cod. proc. pen. per conto dell'imputato. Ciò solo consente di ritenere sanato il vizio relativo alla costituzione del rapporto giuridico processuale, tanto più che non risulta dedotta l'omessa informazione della celebrazione dell'udienza di appello dal difensore di fiducia al suo assistito.

È invece inammissibile "perché generico, limitandosi la difesa a evocare il tema della violenza sessuale virtuale", senza confrontarsi adeguatamente con le "pertinenti considerazioni" delle due conformi sentenze di merito, la doglianza relativa alla consumazione del delitto di cui all'art. 609 quater cod. pen.
Era strato infatti accertato che l'imputato traeva soddisfacimento erotico dal fatto di assistere telematicamente al compimento di atti di autoerotismo da parte delle minori con cui interagiva, "a nulla rilevando che la condotta delle ragazzine, infraquattordicenni, non sia scaturita da violenza o minaccia, riferendosi la condanna dell'imputato non al delitto di violenza sessuale, ma a quello di atti sessuali con minorenni, per il quale l'eventuale consenso della vittima, ove pure sussistente, viene ritenuto invalido".

Il reato di cui all'articolo 609 quater cod. pen., conclude la Corte, "non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra la vittima e l'agente, sussistendo anche quando l'autore del delitto trova soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere alla esecuzione di atti sessuali da parte della vittima, potendo la condotta perfezionarsi anche mediante una comunicazione telematica, attraverso cui, come nel caso di specie, il reo induce le vittime minorenni a compiere su se stesse atti sessuali di autoerotismo".

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