Lavoro

Nuovo blocco dei licenziamenti del Decreto "Sostegno": si accentuano i dubbi di legittimità costituzionale

Tale misura eccezionale di sostegno all'occupazione, introdotta con il Decreto Cura Italia nel marzo 2020 in occasione dello scoppiare della crisi pandemica e che doveva essere inizialmente limitata sino al 17 maggio 2020, si ritrova così a compiere un anno a fronte delle numerose proroghe che l'hanno interessata nei mesi scorsi ed a vedersi ancora legittimata per ogni settore e categoria produttiva per i prossimi tre mesi

di Chiara Teresa Bonora *



Il Decreto Legge 22 marzo 2021, n. 41 recante "Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19" ed entrato in vigore il 23 marzo 2021, ha confermato il fermo agli atti di recesso datoriali per giustificato motivo oggettivo indiscriminatamente sino al 30 giugno e dal 1° luglio al 31 ottobre, solo per le imprese (piccole e del terziario) che utilizzano le nuove 28 settimane di cig Covid-19 e per le aziende del settore agricolo che utilizzano la cig "agricola".

Tale misura eccezionale di sostegno all'occupazione, introdotta con il Decreto Cura Italia nel marzo 2020 in occasione dello scoppiare della crisi pandemica e che doveva essere inizialmente limitata sino al 17 maggio 2020, si ritrova così a compiere un anno a fronte delle numerose proroghe che l'hanno interessata nei mesi scorsi ed a vedersi ancora legittimata per ogni settore e categoria produttiva per i prossimi tre mesi.

Nemmeno all'esito della Seconda Guerra Mondiale, in un quadro economico sociale e tecnologico ben più rovinoso di quello presente, un simile provvedimento fu assunto per così lungo tempo ma si limitò ad otto mesi e proprio il perdurare nel tempo di tale divieto consuma necessariamente il suo carattere di straordinarietà e rafforza invece i dubbi sulla sua legittimità costituzionale che già da tempo sono stati avanzati in dottrina.

Un tale divieto limita la libertà di iniziativa economica che l'art. 41 Cost. riconosce all'imprenditore consentendo allo stesso di determinare l'assetto organizzativo della propria azienda. La giurisprudenza maggioritaria in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo legittima ormai lo stesso anche in assenza di una crisi aziendale, purché sia dimostrata la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste alla base del licenziamento, ed esclude il sindacato "di merito" sulla congruità e opportunità della scelta espulsiva fatta dall'imprenditore.

Il sacrificio legato a tale compressione di libertà pertanto, può ritenersi legittimo solo se, da un lato, è limitato nel tempo e dall'altro è giustificato da ragioni di emergenza e necessità che riguardano la tutela di altri principi costituzionalmente garantiti come il diritto al lavoro.

Il trascinarsi normativo dell'ultimo anno che ha interessato il blocco dei licenziamenti non risponde ad alcuno dei suddetti criteri.

Sotto il profilo temporale, quindici mesi rappresentano certamente un periodo di tempo assolutamente rilevante se si considera anche la velocità con cui le aziende tendono a modificare i loro assetti per garantire competitività sul mercato. A ciò si aggiunge che la durata del blocco non è stata fissata definitivamente ed in un'unica occasione ma, come detto, si è rinnovata per ben tre volte nel corso dell'ultimo anno, cancellando la possibilità di ogni reale pianificazione per le aziende e disincentivando gli investimenti.

Le ragioni di emergenza non paiono soddisfatte, forse salvo i primi due mesi, considerato che il divieto si estende ad ogni categoria e settore anche a quelli che hanno ripreso la loro ordinaria attività e non contempla alcun nesso di causalità tra il licenziamento e ragioni economiche connesse direttamente alla crisi pandemica o nelle sole imprese la cui attività è stata sospesa con decisione del governo, come in modo più scrupoloso ha disposto rispettivamente la Spagna e la Grecia, unici altri paesi dell'UE che hanno previsto tale divieto, tra l'altro già scalfito dalla giurisprudenza ordinaria del Tribunale di Barcellona con sentenza n. 283 del 15.12.2020 con motivi di contrarietà al quadro costituzionale.

Quanto alle ragioni di necessità le stesse vanno forse lette in un'ottica più complessiva del mercato del lavoro. Se è vero che il divieto di licenziamento ha difeso i lavoratori da un'estromissione dallo stesso è altrettanto indubbio che tale prolungato blocco ha generato un meccanismo inverso, che ha portato a limitare al minimo le nuove assunzioni, andando così paradossalmente a ledere il diritto al lavoro costituzionalmente garantito di chi è in cerca di occupazione.

Non meno importanti paiono le considerazioni legate all'allungamento della cassa integrazione che ha accompagnato il divieto di licenziamento e che si è tradotto nel necessario obbligo ed onere per i datori di lavoro di corrispondere le retribuzioni per i periodi non coperti dalla cassa integrazione a causale Covid e di sostenere gli oneri contributivi per l'accesso alla cassa ordinaria.

Infine, i dubbi di incostituzionalità emergono anche rispetto ai lavoratori a tempo determinato, sicuramente discriminati da tale situazione nel momento in cui, nonostante gli incentivi riconosciuti ai datori di lavoro per la conversione di tali posizioni in contratti a tempo indeterminato, sono diventati l'inevitabile bersaglio per alleggerire le aziende.

* a cura dell' avv. Chiara Teresa Bonora - Dottore di ricerca in Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali Partner di Mondini Bonora Ginevra Studio Legale di Milano

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©