Offendere una persona per il colore della pelle non sempre configura discriminazione o odio razziale
Dare del «negro» ad una persona di colore, nell'ambito di una condotta ingiuriosa e minacciosa nei suoi confronti, non sempre configura la circostanza aggravante della discriminazione razziale e di odio etnico. È necessario analizzare infatti il contesto in cui tale offesa è maturata e la condotta deve essere tale da suscitare in altri il sentimento di odio etnico, non potendo la discriminazione razziale identificarsi con un qualsiasi comportamento contrastante un ideale di perfetta integrazione. Questo è quanto affermato dal Tribunale di Firenze nella sentenza 1976/2015.
La vicenda - L'episodio si è verificato nella piazza del mercato cittadino di un comune toscano ed ha visto come protagonisti due venditori ambulanti, padre e figlio, ed un uomo di colore, titolare di un altro posto vendita. Il primo diverbio era avvenuto al termine della giornata lavorativa, quando il padre, non potendo transitare con il suo furgone per via della presenza della bancarella del venditore straniero, cominciava ad offendere quest'ultimo con frasi del tipo «non ho tempo da perdere, accidenti a chi vi ha mandato, negro, torna a casa tua». Dopo qualche ora il figlio, informato dal padre dell'accaduto, raggiungeva il posto vendita dell'ambulante di colore, il quale veniva offeso con frasi del tipo «ha ragione mio padre che sei uno sporco negro» e, altresì, ferito sul labbro da un pugno sferrato da una persona rimasta ignota che accompagnava l'ambulante italiano.
In seguito padre e figlio venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati di ingiuria, minaccia e lesioni personali, con l'aggravante di aver commesso i fatti con finalità di discriminazione razziale e di odio etnico, prevista dal Dl 122/1993, convertito in Legge 205/1993.
Le motivazioni - La vicenda si è risolta in un nulla di fatto perché il Tribunale non ha riconosciuto l'esistenza dell'aggravante dell'odio razziale e, rimessa la querela, ha pronunciato una sentenza di non doversi procedere. Interessante è però la motivazione che ha portato il giudice ad escludere la configurabilità dell'aggravante prevista dalla cd. Legge Mancino.
Per il Tribunale, infatti, deve essere considerato il contesto nel quale sono state poste in essere le condotte, ovvero al termine del mercato cittadino «durante le operazioni di chiusura del punto vendita e di trasporto della merce verso i depositi, quando ovvero esiste parecchia confusione», ragion per cui i reati non possono essere ritenuti commessi per far valere il disprezzo razziale nei confronti della persona offesa. L'aggravante in questione – afferma il giudice - «sussiste solo laddove l'autore voglia perseguire la finalità del disprezzo razziale e a prescindere dal movente che ha innescato la condotta», quando cioè è evidente che il reato sia stato «oggettivamente strumentalizzato all'odio o alla discriminazione razziale».
E nella specie, le frasi rivolte al venditore di colore e l'aggressione effettuata nei suoi confronti, per il giudice, non sono connotate da un orientamento razziale, né tantomeno sono idonee a suscitare in altri il sentimento di odio etnico o a dar luogo al pericolo di immediati o futuri comportamenti discriminatori. L'odio – conclude il Tribunale – deve essere «tale da implicare una forte avversione per il soggetto destinatario, non potendo identificarsi la discriminazione razziale con qualsivoglia condotta contrastante con un ideale di assoluta e perfetta integrazione».
Tribunale di Firenze - Sezione I penale - Sentenza 23 luglio 2015 n. 1976