Omesso versamento, esente da responsabilità penale l'imprenditore in "crisi di liquidità"
La Cassazione conferma la sussistenza dell'esimente della crisi di liquidità per l'imprenditore che dimostra di aver posto in essere tutte le azioni possibili (se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale) per recuperare quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale
Con la sentenza che qui si commenta ( Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 novembre 2021, n. 43913 ndr. ), la Suprema Corte torna ad occuparsi dei reati di omesso versamento nei contesti imprenditoriali di illiquidità.
Chiamata a pronunciarsi in relazione al mancato versamento dell'imposta sul valore aggiunto su due distinte annualità, la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d'Appello di Firenze, la quale aveva escluso che gli elementi addotti dall'imputato potessero assumere valenza di esimente a favore dell'impresa inadempiente all'obbligazione tributaria.
Come si può leggere nelle motivazioni, la pronuncia in esame ripercorre in prima istanza il percorso seguito dai giudici di merito, i quali avevano riconosciuto che la crisi di liquidità costituisce elemento idoneo ad escludere la responsabilità dell'imputato, a patto che il mancato adempimento sia derivato da fatti non imputabili all'imprenditore e ai quali egli abbia tempestivamente tentato di porvi rimedio: "risulta che il Tribunale ha aderito alla tesi per cui, nei casi di omesso versamento dell'Iva, la crisi di liquidità possa assurgere a forza maggiore se l'imputato dimostri che le difficoltà finanziarie siano a lui non imputabili e che non possano essere fronteggiate con idonee misure, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale" (p. 4).
Del resto, secondo l'insegnamento dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l'imprenditore rimane esente da responsabilità penale ove dimostri che la crisi non sia a lui imputabile e, al contempo, provi anche di aver posto in essere tutte le azioni possibili (se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale) per recuperare quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (in questo senso, cfr. Cass. Pen., Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 5467 ).
Sennonché, ad avviso della Cassazione, la Corte d'Appello avrebbe omesso di valutare alcuni elementi allegati dalla difesa - la rinuncia al TFR e la partecipazione ad aumenti del capitale sociale e a altri finanziamenti soci da parte dell'imputato – finendo così per escludere (erroneamente) l'applicazione dei principi poco sopra menzionati, senza prendere in considerazione gli elementi allegati dalla difesa a prova del "sacrificio personale dell'imprenditore" (p. 5).
Infatti, secondo la sentenza impugnata, l'odierno imputato – nonostante fosse emerso che le difficoltà finanziarie in cui era incappata l'impresa fossero riconducibili a fattori esterni – era stato ritenuto responsabile degli addebiti a lui mossi per non aver "provato di essersi efficacemente attivato per reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, attingendo anche al suo patrimonio personale, ritenendo insufficiente la rinuncia ai crediti nei confronti della società e gli sforzi di ricapitalizzazione effettuati, perché mai indirizzati a consentire il pagamento dei debiti tributari" (pp. 4-5).
Tale soluzione viene pertanto censurata dalla Suprema Corte, la quale – nel rinviare alla Corte d'Appello per un nuovo giudizio - accoglie il motivo difensivo volto a rilevare come "il Tribunale non valutò la documentazione da cui risultava che l'imputato nel 2005 rinunciò alla liquidazione del proprio TFR per circa Euro 180.000; nell'anno 2006 partecipò ad un aumento di capitale versando, per la sua quota, Euro 1.326.906, mediante un mutuo personale di Euro 2.000.000 erogato nei confronti anche dei suoi fratelli dalla Banca (omissis); nel 2010 effettuò un altro finanziamento soci versando Euro 400.000 attraverso la Banca (omissis); nel 2011 effettuò plurimi versamenti quali finanziamenti soci per un ammontare di Euro 612.500; nel 2012 effettuò finanziamenti soci per Euro 42.400 con ulteriori versamenti. Si eccepì che il ricorrente, diversamente da quanto rappresentato dal Tribunale, intraprese tutte le azioni necessarie per evitare il dissesto finanziario [omissis]. Si affermò [omissis] che l'imputato assolse agli obblighi di allegazione dei documenti che comprovavano la non imputabilità al contribuente della crisi economica che aveva improvvisamente investito l'azienda, specificando altresì che la circostanza non avrebbe potuto essere fronteggiata altrimenti" (p. 5).
In definitiva, la Suprema Corte rigetta la soluzione adottata dai Giudici di merito, ritenendo necessaria una nuova valutazione della crisi di liquidità alla luce degli elementi allegati dal contribuente (e concernenti appunto i finanziamenti soci, l'aumento di capitale, la rinuncia al TFR).
Tale conclusione pare in linea con le soluzioni proposte anche da alcune pronunce di merito, le quali hanno riconosciuto la sussistenza dell'esimente della crisi di liquidità nelle ipotesi in cui l'imprenditore abbia documentalmente dimostrato di aver fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità, ponendo in essere iniziative concrete e finalizzate a recuperare le somme necessarie per far fronte al debito erariale (cfr. Trib. Milano, 12 settembre 2018, n. 9642. Nello stesso senso, Trib. Pordenone, 30 novembre 2016, n. 1282).
Sempre in questo senso, infine, non può trascurarsi – seppur con un breve cenno, non essendo questa la sede – la proposta di legge n. 3024 del 16 aprile 2021 della Camera dei Deputati, con la quale si ipotizza di introdurre nel corpo degli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. 74/2000, da un lato, la finalità di evadere l'obbligazione tributaria quale presupposto per l'incriminazione e, al contempo, la crisi di liquidità non imputabile all'imprenditore quale causa di non punibilità (cfr. Proposta di Legge n. 3024, p. 4).
Una proposta finalizzata a garantire "massima tutela [omissis] della scelta d'impresa e del tessuto produttivo nazionale che vive tempi di crisi pandemica, ma anche protezione della ragion fiscale, così presidiata in senso più forte da una sanzione penale chiara, già cablata sul fine ultimo dell'evasione, a vantaggio, infine, dell'economia delle indagini e del processo" (pp. 3-4).
____
*A cura dell'Avv. Mattia Miglio, Studio Villa Roveda e Associati