Particolare tenuità del fatto: applicabile per la prima volta in Cassazione anche in caso di ricorso inammissibile
Riforma Cartabia e particolare tenuità del fatto: l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis del Cp, come novellato in senso estensivo quoad poenam dall'articolo 1, comma 1, lettera c), n. 1, del Dlgs 150/2022, in ragione della natura sostanziale dell'istituto, è deducibile per la prima volta nel giudizio di legittimità, in quanto non proponibile in precedenza, e la Corte di cassazione, ove ravvisi la sussistenza dell'esimente, può dichiararla anche di ufficio ex articolo 609, comma 2, Cpp, pur in caso di ricorso inammissibile.
Così la sentenza n. 9466/2023, depositata il 7 marzo scorso, con cui la Quarta sezione penale della Cassazione si è pronunciata su due istituti di favore interessati dalla riforma Cartabia (invocati nella specie per la prima volta in Cassazione alla luce dello ius superveniens): i riscritti articoli 131-bis del Cp e 53 della legge 689/1981 che ha ampliato i limiti di sostituibilità delle pene detentive brevi.
Nella vicenda al vaglio degli "ermellini" di Piazza Cavour, il difensore di un imputato condannato per furto in abitazione (all'epoca dei fatti punito la pena da uno a sei anni di reclusione) aveva introdotto con apposita memoria due questioni nuove nel giudizio di legittimità: in esito alla riformulazione dell'articolo 131-bis Cp ad opera del Dlgs 150/2022, aveva invocato l'applicabilità (retroattiva) della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ormai estesa ai reati puniti con una pena minima non superiore ad anni due di reclusione; in subordine, aveva chiesto l'applicazione della pena sostitutiva (e, segnatamente, il lavoro di pubblica utilità ovvero la detenzione domiciliare), anch'essa ormai estesa quanto a limiti edittali.
Il novellato articolo 131-bis: la natura sostanziale dell'istituto applicabile per la prima volta in Cassazione
Con riguardo al primo istituto di favore, il nuovo articolo 131-bis del Cp, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), del Dlgs 150/2022, prevede, nell'ottica di decongestionamento della macchina giudiziaria, l'applicabilità generalizzata della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a tutti i reati puniti con pena detentiva minima pari o inferiore a due anni (vedi «Guida al diritto», 2022, n. 44, pagine 74 e seguenti). Cade, dunque, ogni riferimento al limite massimo di cinque anni della pena edittale, in ossequio al pertinente criterio di delega (articolo 1, comma 21, della legge 134/2021) che, a sua volta, aveva recepito le indicazioni, sul punto, della Commissione Lattanzi.
Cosicché, ferme restando le eccezioni previste ratione materiae dalla norma (vedi l'inedito comma 3 all'uopo aggiunto), l'istituto può ormai trovare applicazione rispetto a un numero più ampio di reati (tra i quali, per esempio, i furti aggravati che, in larga parte, sono oggi diventati punibili a querela ad opera della stessa riforma Cartabia: querela che, peraltro, ancora ci poteva essere fino al 30 marzo: vedi articolo 85, comma 1 Dlgs 150/2022).
Inoltre, con specifico riferimento ai parametri di valutazione della tenuità dell'offesa, si dà oggi espresso rilievo anche alla condotta susseguente al reato (con ciò superandosi il pregresso indirizzo giurisprudenziale, ancorato sul previgente dato normativo: vedi Cassazione, sezione V penale, n. 660/2019, Ced 278555).
La novella è entrata definitivamente in vigore il 30 dicembre scorso (articolo 99-bis Dlgs 150/2022, aggiunto dall'articolo 6 del Dl 162/2022, convertito, con modificazioni, in legge 199/2022).
In difetto di apposito regime transitorio, a prima lettura l'Ufficio del massimario della Cassazione ha reputato "pacifica" l'applicabilità dell'articolo 2, comma 4 del Cp, "trattandosi di un istituto sostanziale di favore, inquadrabile tra le cause di non punibilità", donde l'estensione dell'ambito di applicazione dell'articolo 131-bis, comma 1, Cp alle nuove figure delittuose ricavabili quoad poenam, con effetto retroattivo relativamente ai procedimenti (e processi) pendenti per reati commessi prima dell'entrata in vigore della novella (vedi in tal senso vedi Ufficio del massimario della Cassazione, relazione su novità normativa n. 68/2022, § 15).
Oggi detta soluzione è "certificata" dalla Suprema corte con la decisione in commento, secondo la quale sulla natura della norma in esame "soccorre il diritto vivente": l'istituto ha natura sostanziale ed è applicabile anche ai commessi prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia (nello stesso senso, vedi anche Cassazione, Sezione VI penale, n. 7573/2023, in motivazione: fattispecie in tema di calunnia).
A tal fine, l'odierna decisione richiama quanto già statuito dal giudice nomofilattico con riguardo al Dlgs 28/2015, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e - solo per questi ultimi - la relativa questione, in applicazione degli articoli 2, comma 4, del Cp e 129 del Cpp è deducibile e rilevabile d'ufficio ai sensi dell'articolo 609, comma 2, del Cpp, anche nel caso di ricorso inammissibile (così già Cassazione, sezioni Unite penali, n. 13681/2016, Tushaj, Ced 266593, in cui, in motivazione, la Corte ha specificato che, invece, ove non si discuta dell'applicazione della sopravvenuta legge più favorevole, la inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e la rilevabilità d'ufficio della questione).
Ne discende che la norma, come novellata, troverà applicazione anche ai fatti di reato commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, in ossequio alla regola generale di cui all'articolo 2, comma 4, del Cp, siccome legge più favorevole rispetto a quella previgente.
Pertanto la relativa questione – scandisce significativamente la sentenza annotata – ove non proponibile con il gravame o nel corso del giudizio di appello, sarà deducibile e rilevabile d'ufficio ai sensi dell'articolo 609, comma 2, del Cpp e, se la Corte di cassazione ne riconosce la sussistenza, potrà dichiararla anche d'ufficio ai sensi dell'articolo 129, comma 1, del Cpp, annullando senza rinvio la sentenza di condanna impugnata a norma dell'articolo 620, comma 1, lettera i), del Cpp (sul punto, vedi sempre Cassazione, sezioni Unite penali, n. 13681/2016, Tushaj, citata; vedi altresì Cassazione, Sezione VI penale, n. 7573/2023, citata).
Tuttavia, nella vicenda specie la Suprema corte ha ritenuto insussistenti in concreto le condizioni per addivenire ex officio a una pronuncia demolitoria agli effetti dell'articolo 131-bis del Cp, pur ritenuto in astratto applicabile. Non solo perché il tema della particolare tenuità del fatto – all'epoca del processo di merito non applicabile quoad poenam – non ha evidentemente formato oggetto di trattazione sicché dalla sentenza non è dato rilevare alcun elemento al quale possa essere agganciata la relativa valutazione; ma soprattutto perché il ricorrente, che ne ha comunque l'onere (pena la genericità del ricorso ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 581, comma 1, lettera d) e 591, comma 1, lettera c, del Cpp), nella specie ha omesso ogni allegazione sul punto, essendosi limitato a richiamare le condizioni di astratta operatività dell'istituto (natura sostanziale della norma novellata e abbassamento delle preclusioni ricollegate alla forbice edittale), ma non anche quelle in fatto e in diritto che giustifichino, nel caso concreto, una valutazione nel senso sollecitato. Sul punto, soccorre ancora una volta il diritto vivente, allorquando richiama l'interprete a sindacare, in primo luogo, la specificità intrinseca, ancor prima che quella estrinseca, dell'atto di impugnazione che richiede, per l'appunto, che essa non si articoli attraverso doglianze del tutto generiche o astratte (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 8825/2017, Galtelli, in motivazione).
Il novellato articolo 53 della legge 189/1981: l'ampliamento dei limiti di applicabilità delle pene sostitutive brevi
Quanto, invece, alla seconda questione relativa all'invocata applicabilità delle pene sostitutive brevi ai sensi del novellato l'articolo 53 della legge 689/1981 – che ha ampliando i limiti di applicabilità e ha ridefinito la tipologia di sanzioni – essa è stata ritenuta dalla Corte regolatrice non deducibile nei termini di cui all'articolo 609, comma 2, del Cpp.
Tale esito non dipende dalla rinnegata natura sostanziale delle novelle disposizioni che elevano il limite della pena detentiva sostituibile, da ritenersi, invero, pacificamente più favorevoli al reo e, come tali, applicabili retroattivamente, salvo il limite del giudicato (in tal senso vedi Ufficio del massimario della Cassazione, relazione su novità normativa n. 68/2022, § 11).
Dipende, piuttosto, dall'annesso regime transitorio che il legislatore delegato qui ha espressamente introdotto, in forza del quale dette nome, per l'appunto in quanto più favorevoli, trovano applicazione nei procedimenti pendenti in primo e secondo grado al momento dell'entrata in vigore della riforma Cartabia (cioè il 30 dicembre 2022), laddove, per quelli pendenti in cassazione, l'interessato dovrà, nel termine di giorni trenta dall'irrevocabilità della sentenza, proporre apposita istanza di applicazione di pena sostitutiva al giudice dell'esecuzione (articolo 95, comma 1, del Dlgs 150/2022, il quale prevede che nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio).
Come spiega sul punto la Relazione illustrativa al Dlgs 150/2022, l'applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione (ma non in quello di legittimità) «può apparire distonica; è tuttavia imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior – [sicché] una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad es., nel contesto del cd. patteggiamento in appello)» (ibidem, pagina 429).