Parto anonimo, con il pre affidamento scade il tempo concesso alla madre per il riconoscimento
Interesse del minore è non rompere il rapporto affettivo con gli affidatari. La Cassazione nega la lesione del diritto alla vita privata e familiare in assenza di rapporti con il genitore biologico
In caso di parto anonimo la madre non ha più tempo per chiedere il riconoscimento del figlio se c’è già stata la pronuncia dell'affidamento pre-adottivo. Né si può giustificare il ripensamento tardivo con la depressione post parto. La Cassazione (sentenza 23316) respinge il ricorso di una donna che rivendicava il suo diritto ad ottenere un termine per riconoscere il figlio, dopo aver manifestato, al momento della nascita la volontà di restare nell’ombra. La Suprema corte, chiarisce però che l’unico faro sul punto è l’interesse superiore del minore. Un criterio in base al quale il genitore biologico, con il quale il minore non avuto rapporti, deve fare un passo indietro se si è, al contrario, instaurato un legame affettivo con la famiglia affidataria. Rapporto che, nel caso esaminato, era stato poi formalizzato con la pronuncia di una sentenza di adozione.
Gli interessi in gioco
La Suprema corte ricorda la necessità, in linea con la giurisprudenza della Cedu, di conciliare gli interessi della madre biologica con quelli del minore e degli affidatari. Una particolare attenzione va posta alle garanzie procedurali, e dunque ai tempi concessi alla madre per esprimersi davanti ad un’autorità giudiziaria e rivedere la sua scelta di abbandonare il figlio. I giudici di Strasburgo, in un caso analogo a quello esaminato ( Tedorova contro Italia), pur riconoscendo la necessità di scelte rapide, avevano condannato l’Italia per una dichiarazione di adottabilità arrivata dal Tribunale a soli 27 giorni dalla nascita di due gemelli.
I tempi giusti
Per la Cedu era stato così violato il diritto della madre al rispetto della vita privata e familiare. Facoltà, nello specifico, invece rispettata, perché il provvedimento di pre-affidamento c’era stato sei mesi dopo il parto, mentre dopo 8 si era disposta l’adozione. Un tempo entro il quale si poteva presentare e coltivare un ricorso davanti al giudice minorile, in modo da poter spiegare le circostanze che avevano indotto la donna ad abbandonare il figlio e quelle che l’avevano indotta a ripensarci. La Corte territoriale aveva concluso che interrompere il rapporto con gli affidatari sarebbe stato certamente un trauma per il minore. Mentre l’assenza di rapporti con la madre rendeva impossibile far rientrare il legame, solo biologico, con la madre naturale nella nozione di vita privata e familiare, come disegnato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
In caso di parto anonimo la madre non ha più tempo per chiedere il riconoscimento del figlio se c’è già stata la pronuncia dell'affidamento pre-adottivo. Né si può giustificare il ripensamento tardivo con la depressione post parto. La Cassazione (sentenza 23316) respinge il ricorso di una donna che rivendicava il suo diritto ad ottenere un termine per riconoscere il figlio, dopo aver manifestato, al momento della nascita la volontà di restare nell’ombra. La Suprema corte, chiarisce però che l’unico faro sul punto è l’interesse superiore del minore. Un criterio in base al quale il genitore biologico, con il quale il minore non avuto rapporti, deve fare un passo indietro se si è, al contrario, instaurato un legame affettivo con la famiglia affidataria. Rapporto che, nel caso esaminato, era stato poi formalizzato con la pronuncia di una sentenza di adozione.
Gli interessi in gioco
La Suprema corte ricorda la necessità, in linea con la giurisprudenza della Cedu, di conciliare gli interessi della madre biologica con quelli del minore e degli affidatari. Una particolare attenzione va posta alle garanzie procedurali, e dunque ai tempi concessi alla madre per esprimersi davanti ad un’autorità giudiziaria e rivedere la sua scelta di abbandonare il figlio. I giudici di Strasburgo, in un caso analogo a quello esaminato ( Tedorova contro Italia), pur riconoscendo la necessità di scelte rapide, avevano condannato l’Italia per una dichiarazione di adottabilità arrivata dal Tribunale a soli 27 giorni dalla nascita di due gemelli.
I tempi giusti
Per la Cedu era stato così violato il diritto della madre al rispetto della vita privata e familiare. Facoltà, nello specifico, invece rispettata, perché il provvedimento di pre-affidamento c’era stato sei mesi dopo il parto, mentre dopo 8 si era disposta l’adozione. Un tempo entro il quale si poteva presentare e coltivare un ricorso davanti al giudice minorile, in modo da poter spiegare le circostanze che avevano indotto la donna ad abbandonare il figlio e quelle che l’avevano indotta a ripensarci. La Corte territoriale aveva concluso che interrompere il rapporto con gli affidatari sarebbe stato certamente un trauma per il minore. Mentre l’assenza di rapporti con la madre rendeva impossibile far rientrare il legame, solo biologico, con la madre naturale nella nozione di vita privata e familiare, come disegnato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.