Pena accessoria mai sotto il minimo
La pena accessoria per i reati tributari non può essere irrogata in misura al di sotto del minimo previsto, anche se la sanzione penale edittale è di durata inferiore.
La previsione, come nel caso dei reati tributari, di un minimo per la misura accessoria espresso con la formula letterale «non inferiore a», anziché con l’individuazione di un determinato periodo esatto, rappresenta comunque un limite invalicabile al di sotto del quale il giudice non può scendere
Ad affermarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 4916 depositata ieri. Un contribuente veniva condannato in primo grado a un anno di reclusione per il reato di indebita compensazione (articolo 10 quater, Dlgs 74/2000), oltre alle pene accessorie (interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche, incapacità di contrattare con la Pa, interdizione dalle funzioni di assistenza e rappresentanza tributaria). La Corte di appello riduceva la pena principale a otto mesi di reclusione mentre confermava quelle accessorie. Avverso la decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione lamentando che il giudice territoriale, nonostante avesse ridotto la pena principale, non riduceva c anche quelle accessorie.
La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato che per i reati tributari, in base all’articolo 12, Dlgs 74/2000, tutte le pene accessorie possono essere irrogate entro una fascia compresa fra un minimo e un massimo. Fa eccezione solo la pena accessoria dell'interdizione dall’ufficio di componente delle commissioni tributarie che prevede infatti l’interdizione perpetua.
In tale contesto, si inserisce l’articolo 37 del Codice penale secondo cui quando la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, questa deve essere di entità eguale a quella della principale inflitta. In nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e massimo stabiliti per ciascuna pena accessoria.
Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella «durata espressamente determinata» occorre ricomprendere anche i casi in cui la legge contempli un minimo e un massimo, spettando al giudice decidere in relazione alla gravità del reato, entro l’intervallo temporale.
In base ad un diverso orientamento, invece, l’indicazione nella pena accessoria di un minimo ed un massimo non rappresenta una «durata espressamente determinata».
I giudici di legittimità, discostandosi da questo secondo indirizzo interpretativo, hanno rilevato che per il caso specifico dell’articolo 12, Dlgs 74/2000, il legislatore pur utilizzando termini come «non inferiore a» e/o «non superiore a» e quindi non individuando un limite edittale numericamente prestabilito, ha utilizzato termini sostanzialmente equivalenti.
Così la Suprema Corte, mentre con riferimento alla pena accessoria relativa all’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche ha accolto il ricorso, per le altre due (incapacità di contrattare con la Pa e interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria, ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito confermando dette interdizioni per un anno (minimo edittale previsto con la formula non inferiore a un anno) nonostante l’imputato fosse stato condannato a 8 mesi di reclusione.
Sentenza Corte di cassazione -Sentenza 4916/2017 penale