Pena illegale rilevata d’ufficio anche se il ricorso è inammissibile
Le <a uuid="" channel="" url="https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2022/10/14/38809.pdf" target="">Sezioni unite della Cassazione (la sentenza 38809</a>) dirimono il contrasto sul rapporto tra cause di inammissibilità del ricorso, per ragioni diverse dalla tardività, e possibilità di rilevare d’ufficio la pena illegale
Anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile, la Corte di Cassazione, in applicazione dei principi costituzionali, ha il potere di rilevare l’illegalità della pena, determinata dall’applicazione di una sanzione, in origine, contraria all’assetto normativo vigente. Le Sezioni unite della Cassazione (la sentenza 38809) dirimono il contrasto sul rapporto tra cause di inammissibilità del ricorso, per ragioni diverse dalla tardività, e possibilità di rilevare d’ufficio la pena illegale. Una pena considerata illegale se di specie diversa rispetto a quella di legge o superi il massimo edittale. Questo al di fuori dei casi in cui sia il risultato di una sopravvenuta illegittimità costituzionale della norma e/o di un suo mutamento in meglio. Secondo un primo orientamento la rilevabilità d’ufficio sarebbe preclusa perché l’inammissibilità del ricorso impedisce il passaggio del procedimento all’ulteriore grado di giudizio e dunque la cognizione della questione. Opposta conclusione per l’indirizzo che considera prevalente l’esigenza di rimediare alla pena illegale.
Su quest’ultima scia si muove il Supremo consesso, valorizzando le sentenza della Corte costituzionale, la giurisprudenza di Strasburgo e gli stessi precedenti delle Sezioni unite.
Per il Supremo consesso è centrale la considerazione che è la previsione legale della pena, secondo la Carta, «a fondare la stessa potestà punitiva del giudice».
Affermazione che mostra il limite del potere pubblico tenuto ad assicurare i diritti fondamentali della persona.
E tra questi quello alla libertà personale, garantito dall’articolo 13 della Costituzione, in condizioni di uguaglianza per tutti i consociati. Alla stessa conclusione si arriva se si guarda al diritto sovranazionale e al principio di legalità.
Una tutela affermata sia dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo secondo la quale «non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato», sia dalla Corte di Strasburgo che ha messo l’accento sulla necessità di garantire una «protezione effettiva contro le azioni penali, le condanne e le sanzioni arbitrarie».
La pena che non sia prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento è, dunque, una pena che dimostra un abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, che “usurpa” così il potere esclusivo del legislatore. Tanto basta a confermare la necessità di far prevalere, il rilievo dell’illegalità della pena sul giudicato sostanziale. E per ampliare la casistica delle eccezioni alla regola della sua intangibilità.