Pena pecuniaria sostitutiva della detentiva: il giudice la può rimodulare secondo il criterio di ragguaglio
In tema di decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, il disposto del comma 1 dell'articolo 459, del codice di procedura penale prevede che sia il pubblico ministero a indicare la pena, mentre il comma 1-bis dello stesso articolo assegna al giudice la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva, che, ormai non più determinata in maniera fissa quanto al criterio di ragguaglio a seguito del novum introdotto con legge n. 103 del 2017 (che, tra l'altro, per favorire l'applicazione dell'istituto deflattivo, ha superato il ragguaglio in precedenza determinato in maniera fissa in 250 euro, prevedendo il diverso e più favorevole valore giornaliero di ragguaglio di euro 75, aumentabile fino a tre volte tale ammontare). Lo ha detto la Cassazione penale con la sentenza n. 33472 del 2018. Pertanto, il giudice può rimodulare la determinazione della pena pecuniaria secondo l'importo giornaliero di ragguaglio, fissato ora nel minimo a 75 euro, ferma restando ovviamente l'intangibilità della misura della pena detentiva per come determinata dal pubblico ministero nella richiesta, la cui eventuale ritenuta incongruenza potrà piuttosto fondare il rigetto della richiesta di decreto.
Un’innovativa disposizione - Il comma 1-bis dell'articolo 459 del codice di procedura penale, nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, stabilisce il criterio di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, avendo riguardo al parametro giornaliero di 75 euro («il valore non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare»), in tal modo derogando a quanto disposto in via generale dall'articolo 135 del codice penale in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, laddove si dispone che il computo vada effettuato calcolando euro 250 o frazione di euro 250 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.
Tale più innovativa disposizione si spiega con le esigenze, ricavabili dai lavori parlamentari, di ridurre il numero dei detenuti presso le strutture carcerarie e di incamerare maggiori somme di denaro sebbene non quantificabili; nonché con l'ulteriore finalità di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna. In questa prospettiva, quanto ai rapporti tra la richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice, in linea con quanto qui statuito dalla Cassazione, già in precedenza è stato correttamente affermato che, in caso di decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, dal combinato disposto degli articoli 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, che consente al giudice di «determinare» la pena sostituita, e dell'articolo 460, comma 2, del codice di procedura penale, laddove si vincola il giudice ad «applicare» la pena nella misura richiesta, deve ritenersi che la «misura della pena» che vincola il giudice quando emette il decreto è solo quella detentiva indicata dal pubblico ministero richiedente, utilizzata come moltiplicatore per il ragguaglio che il giudice, appunto, “applica”, mentre la pena «irrogata cui si riferisce il Cpp è quella sostituita all'esito del calcolo, con la conseguenza che il giudice resta libero di rideterminare il tasso giornaliero che, moltiplicato per i giorni di pena detentiva indicati dal pubblico ministero, individua l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva» (cfr. sezione III, 29 marzo 2018, Proc. Rep. Trib. Pisa in proc. Addario).
Va piuttosto ricordato che il quantum del parametro di ragguaglio va stabilito dal giudice anche avendo riguardo alle condizioni economiche del reato ex articolo 133-ter del codice penale. A tal fine, peraltro, non è affatto necessario, ai fini della quantificazione della pena sostituita, l'espletamento di specifiche e mirate attività di verifica sulle condizioni economiche del reo, specie quando il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge.
Nel caso specifico - In proposito, si è così affermato che al pubblico ministero incombe solo un onere di allegazione di dati che consentano al giudice di esercitare la facoltà che la legge gli attribuisce di stabilire il criterio di ragguaglio, ma gli elementi valutativi cui la legge si riferisce, tuttavia, ben possono ricavarsi da circostanze obiettivamente apprezzabili comunque rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il pubblico ministero può anche dare atto nella richiesta di decreto penale.
Diversamente, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione che, in presenza di qualsiasi reato rispetto al quale la pena sia astrattamente convertibile in pena pecuniaria, si debbano svolgere specifici accertamenti sulle capacità economiche del reo e del suo nucleo familiare, vanificando così l'intento del legislatore di favorire il ricorso al decreto penale. Il giudice, in definitiva, non può imporre al pubblico ministero tali accertamenti (cfr. la citata Sezione III, 29 marzo 2018, Proc. Rep. Trib. Pisa in proc. Addario, laddove la Corte, dichiarando inammissibile il ricorso del pubblico ministero, basato sull'abnormità della restituzione degli atti da parte del giudice, ha escluso che questi avesse imposto alcun accertamento sulle capacità economiche a carico del pubblico ministero, essendosi solo limitato a ritenere non congrua la pena).
Cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 18 luglio 2018 n. 33472