Penalisti in sciopero dal 7 al 9 febbraio: “Pacchetto sicurezza illiberale”
Tra le richieste più urgenti la soppressione dei limiti all’appello posti dall’art. 581 c.p.p., oggetto di reiterate richieste al Ministro Nordio
Questa mattina, nel corso dell’Inaugurazione dell’anno giudiziario, mentre la Presidente della Corte di cassazione Margherita Cassano e il Ministro della Giustizia Carlo Nordio celebravamo insieme la “cultura della conciliazione” e il superamento di una visione “carcerocentrica” grazie all’affermarsi della “giustizia riparativa”, i penalisti, per ragioni opposte, annunciavano 3 giorni di sciopero: 7, 8 e 9 febbraio. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente del Cnf Francesco Greco, il quale intervenendo in Cassazione, davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha detto: “Alcune riforme hanno gravemente leso il principio della difesa come … diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.”
Il riferimento è al Dlgs n. 150 del 10 ottobre 2022 che ha introdotto il comma 1-quater dell’art. 581 cpp, dove si afferma: “Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato …”. Un tema su cui nei mesi scorsi l’Ucpi aveva sollecitato il Guardasigilli.
“Più volte - scrive la Giunta delle camere penali nella delibera che proclama l’astensione firmata dal Segretario Rinaldo Romanelli e dal Presidente Francesco Petrelli - abbiamo richiesto l’abrogazione dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. che prevedono l’allegazione di una elezione o dichiarazione di domicilio e per gli imputati assenti l’allegazione di uno specifico mandato ad impugnare”. Tale previsione, spiegano, “oltre a ledere la dignità del difensore e a restringerne le facoltà proprie, nuoce gravemente ai soggetti più deboli che usufruiscono dell’istituto della difesa d’ufficio, a vantaggio di un efficientismo indifferente alla qualità della giustizia”.
L’alleggerimento dei ruoli delle Corti d’Appello e della Corte di cassazione infatti “non può essere considerato in alcun modo un obiettivo da perseguire legittimamente attraverso la compressione del diritto di impugnare, anche a scapito della riforma di sentenze ingiuste e di irrogazione di pene illegali”. Eppure, proseguono, si è preferito privilegiate la “funzione deflattiva che questa norma avrebbe nel sistema delle impugnazioni, con conseguente flessione degli indici di riduzione delle pendenze imposte dal P.N.R:R.”.
Così, seppure qualche passo positivo può essere registrato come: il ripristino della prescrizione sostanziale, o l’abrogazione dell’abuso di ufficio e la ridefinizione della fattispecie di traffico di influenze, “resta evidentemente contraddittorio il percorso sin da subito intrapreso della iperproduzione di nuove fattispecie di reato, in direzione opposta alla realizzazione di un diritto penale minimo”. Per esempio in materia di intercettazioni: per un verso, è “apprezzabile” la tutela della riservatezza delle comunicazioni fra difensore e assistito; per l’atro, però non può non registrarsi l’“abnorme ed irragionevole allargamento dell’utilizzo a tutti i reati laddove siano aggravati dall’art. 416-bis.1. c.p. e dunque al di fuori del ricorrere di fenomeni di “criminalità organizzata”.
Per non parlare della condizione delle carceri, ormai vicine ai limiti della sentenza Torreggiani, e dove si è addirittura proceduto a introdurre nuove fattispecie di reato. È il caso della “Rivolta in istituto penitenziario”, integrata anche da condotte tipicamente inoffensive, quali la resistenza passiva, inserendo tali nuove fattispecie nel catalogo dei reati ostativi di cui all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenzia.
Insomma, è il contenuto complessivo del “pacchetto sicurezza” a deludere i legali: “Lungi dal porsi in sintonia con un programma di riforma della giustizia in senso liberale, rivela una matrice securitaria sostanzialmente populista e profondamente illiberale caratterizzata da un irragionevole rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi e ai danni dei soggetti più deboli”.
Per tutte queste ragioni, conclude la delibera, l’Unione delle Camere Penali Italiane “non può non assumere legittime iniziative volte ad impedire l’attestazione di irrevocabilità su sentenze ingiuste e la susseguente esecuzione di condanne a pene detentive di persone a cui non è stato consentito accedere ad un successivo grado di giudizio”. Sciopero di tre giorni dunque con l’auspicio che le Camere Penali territoriali organizzino “iniziative di informazione e di discussione sulle ragioni della protesta”.