Giustizia

Pene pecuniarie: in sei anni non riscossi quasi 16 miliardi

Ora la commissione Lattanzi propone di introdurre un sistema per quote giornaliere

di Giovanni Negri

Alla faccia dell’effettività della pena. Che non è solo detentiva. Perché i dati parlano chiaro : in 6 anni, a fronte di circa 16 miliardi di pene pecuniarie inflitte il riscosso si attesta a quota 15 milioni circa. Numeri che confermano certo la nota incapacità dello Stato a riscuotere quanto dovuto a vario titolo dai cittadini-contribuenti, con l’aggravante però, in questo caso, che il contesto è quello penale e lo specifico è che si tratta di condanne per reati.

Le ragioni

Diverse le ragioni dell’inefficienza, dalla ormai proverbiale difficoltà della macchina amministrativa, da una decina di anni non più affidata alle cancellerie dei tribunali, a riscuotere quanto dovuto, all’inadeguatezza normativa che vede infliggere il medesimo importo per reato indipendentemente dalle condizioni economiche del condannato, per finire con le limitate conseguenze dei mancati pagamenti. Perchè alla fine, la persona condannata che per anni si è sottratta all’obbligo di corrispondere quanto stabilito dall’autorità giudiziaria rischia di fatto solo un periodo di libertà controllata di durata proporzionale alla gravità dell’inadempimento: obbligo di presentazione in Ufficio di pubblica sicurezza, sospensione della patente, divieto di allontanamento dal Comune. Forse non il massimo della deterrenza.

Il monito della Consulta

Peraltro, a fotografare la situazione la Corte costituzionale che, nel 2019, nella sentenza n. 279 aveva osservato come «il procedimento di esecuzione della pena pecuniaria (...) è oggi farraginoso, prevedendo l’intervento, in successione, dell’ufficio del giudice dell’esecuzione, dell’agente della riscossione, del pubblico ministero e del magistrato di sorveglianza. A tutti questi soggetti sono demandati plurimi adempimenti più o meno complessi, che tuttavia non riescono, allo stato, ad assicurare né adeguati tassi di riscossione delle pene pecuniarie, né l’effettività della conversione delle pene pecuniarie non pagate».

L’effetto sui tempi

Di fatto l’impasse rende impossibile considerare la pena pecuniaria una seria alternativa a quella detentiva, contribuendo in questo modo a scoraggiare anche forme di definizione dei procedimenti penali accelerate. Gli interventi normativi più recenti hanno valorizzato sanzioni patrimoniali come la confisca, basti pensare all’ultima riforma dei reati tributari, ma non hanno considerato adeguatamente le pene principali della multa e dell’ammenda, attorno alle quali ruotano il sistema della giustizia penale del giudice di pace, il rito alternativo del procedimento per decreto, la sanzione sostitutiva della pena detentiva inflitta entro il limite di sei mesi, e, soprattutto, le diverse previsioni di pena pecuniaria sola, congiunta o alternativa alla pena detentiva, per una pluralità di reati, anche di particolare gravità (da quelli in tema di sostanze stupefacenti al market abuse).

La proposta in campo

Ora a provare un salto di qualità è la ministra della Giustizia Marta Cartabia e la commissione tecnica istituita sul processo penale. Tra le numerose proposte che nei prossimi giorni saranno tradotte in emendamenti al disegno di legge delega in discussione alla Camera, infatti, c’è posto anche per una riforma della disciplina della pena pecuniaria. Intervento che prende come riferimento la Germania, dove quasi l’80% delle condanne è di natura pecuniarie e il tasso di riscossione è al 90 per cento.

Il sistema delle quote

Esattamente come nel codice penale tedesco, e mutuando da quel meccanismo di sanzione per quota che nel nostro ordinamento giuridico è stato introdotto venti anni fa a carico delle persone giuridiche con il decreto 231, la commissione Lattanzi suggerisce di stabilire, per multa e ammenda, un numero di quote giornaliere non inferiore a 5 e, di norma, non superiore a 360. Il giudice determinerà prima il numero delle quote cui assoggettare il condannato e, poi, l’importo di ogni quota che, sempre sul modello del codice tedesco, si propone di fissare tra un minimo di 1 euro a un massimo di 30.000 euro, tenendo conto delle condizioni economiche e di vita del condannato. Tra gli elementi che il giudice potrà considerare ci sono il reddito del condannato, il suo patrimonio disponibile.

E se la Corte costituzionale nel 1979 bocciò la conversione in periodi di detenzione delle pene pecuniarie non pagate, per gli effetti di discriminazione a danno del cittadino meno abbinate, un nuovo sistema sanzionatorio più aderente alle condizioni economiche del condannato potrebbe essere più sostenibile sul piano della legittimità costituzionale.

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