Civile

Pensione di reversibilità: la convivenza "more uxorio" ha rilievo giuridico se provata

L'ordinanza n. 26651 del 2021 è l'occasione per fare il punto su questione scottante

di Valeria Cianciolo

L’attribuzione della quota della pensione di reversibilità va calcolata secondo l'espressa previsione dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970 n. 898 tenendo conto della durata del rapporto del primo coniuge. L’ordinanza 30 settembre 2021 n. 26651 della Suprema corte è l’occasione per ritornare su una spinosa questione.

 

Una premessa generale

Va tuttavia chiarito che, secondo la corrente interpretazione giurisprudenziale, la ripartizione del trattamento di reversibilità non può ridursi a un mero calcolo matematico i cui addendi siano costituiti dalla durata dei rispettivi matrimoni delle due parti, ma postula invece, l'applicazione anche di ulteriori elementi, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale e da individuare nell'ambito dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970 fra cui in relazione al criterio della durata occorre tenere conto delle rispettive convivenze prematrimoniali, trattandosi di elementi funzionali allo scopo di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il "de cuius" gli aveva assicurato in vita.

Si tratta di un principio già da tempo implicitamente affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 4 novembre 1999 n. 419 che ha affermato che l'art. 9 comma 3 l. 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo sostituito da ultimo dall'art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui prevede che la ripartizione dell'ammontare della pensione di reversibilità fra coniuge ed ex coniuge, se entrambi vi abbiano diritto, avvenga "tenendo conto della durata del rapporto", non impone una ripartizione in base ad un imprescindibile ed esclusivo criterio matematico, ma consente, secondo interpretazione conforme a Costituzione, che il tribunale valuti anche circostanze ulteriori analoghe a quelle da considerare per definire i rapporti patrimoniali fra i coniugi divorziati; così intesa, la norma non contrasta con gli art. 3 e 38 cost.

 

Il caso esaminato dalla Suprema corte

Il Tribunale capitolino aveva attribuito a Tizia, coniuge divorziata del defunto, il 70% della pensione di reversibilità e a Caia, coniuge superstite, contumace nel giudizio, la restante quota del 30%.

La Corte d'appello di Roma rigettava l'appello proposto da Caia, affermando che della dedotta convivenza con il de cuius fin dal 1988 non vi era prova in atti e che, dunque, si doveva tenere conto della durata dei matrimoni, 34 anni il primo, pochi mesi il secondo e che, anche alla stregua della condizione patrimoniale delle parti, la ripartizione della pensione, come effettuata nella sentenza di primo grado, appariva congrua.

Gli Ermellinicon l’ordinanza, 30 settembre 2021, n. 26651 hanno dunque, rigettato il ricorso non essendo stata data prova della pregressa convivenza fra il de cuius e la ricorrente.

 

Natura della pensione di reversibilità

La pensione di reversibilità rientra nell’ambito delle prestazioni previdenziali previste per i cosiddetti ‘superstiti’, in caso di morte di un lavoratore assicurato (o pensionato). [Con specifico riferimento alle varie questioni in tema di tutela previdenziale dei superstiti, v. per la dottrina civilistica v. Pittalis, Commento all’Art. 9 l. 898/70, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, II, Milano, 2009, II ed., 3947 ss.; Moretti, La pensione di reversibilità, in B onilini -Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2004, II ed., 867 ss.; De Dominicis, Notazioni a margine del nuovo sistema di reversibilità delle pensioni, in Arch. civ., 1997, 1169 ss., 2001].

Più precisamente, si parla di pensione di reversibilità con riferimento ad un “dante causa” già pensionato e di pensione indiretta quando la prestazione tragga origine dalla morte di un lavoratore assicurato, ma non ancora pensionato. Il decesso di tale soggetto determina infatti, per i familiari superstiti, il venir meno di una fonte di reddito sulla quale gli stessi avevano potuto fino a quel momento fare affidamento.

La pensione di reversibilità trova il suo fondamento, in costanza di matrimonio, nel principio di solidarietà coniugale, nell’importanza del momento contributivo ai bisogni della famiglia (articolo 143, comma 3, del Cc) e del sostegno prestato all’attività lavorativa dell’altro coniuge che motiva la ricaduta dei vantaggi su entrambi di ogni forma di accantonamento previdenziale.

Il fondamento dell’istituto nell’ambito del divorzio deve invece, rinvenirsi nelle forme di solidarietà post coniugale ed è disciplinato dall’articolo 9 della legge 898/1970, il cui 2 e 3 comma disciplina il concorso fra ex coniuge e coniuge superstite, secondo questi criteri:

1. in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non è passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza;

2. qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’articolo 5.

La pensione è assegnata al coniuge superstite (da solo, o in concorso con i figli) del dante causa (e ora, per effetto della legge n. 76 del 2016, anche al partner superstite di una unione civile) a condizione che il beneficiario non contragga nuovo matrimonio: in tal caso avrà diritto ad un assegno una tantum, pari a due annualità della quota di pensione in pagamento, compresa la tredicesima mensilità, nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio, secondo quanto disposto dall’articolo 3, del DLgs 18 gennaio 1945 n. 39. La misura del rateo pensionistico dipende poi, in concreto, da diverse variabili, essendo pari ordinariamente (per il solo coniuge) al 60% del trattamento spettante al dante causa, elevato (complessivamente) all’80 o al 100% secondo che il coniuge concorra con uno o più figli, comunque, soggetta a riduzione in presenza di redditi propri.

 

La natura giuridica della pensione di reversibilità in favore del coniuge divorziato

Il beneficiario è, infatti, titolare del diritto a prescindere dalla durata del matrimonio e indipendentemente dallo stato di bisogno che si ritiene presunto proprio per il fatto che è titolare di un assegno divorzile. La Suprema Corte ha più volte precisato che il diritto al trattamento di reversibilità per il coniuge divorziato, in assenza di un coniuge superstite e in presenza dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del diritto stesso (assegno divorzile, mancato passaggio a nuove nozze e anteriorità del rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico alla sentenza di scioglimento del matrimonio), sorge “in via autonoma e automatica, nel momento della morte del pensionato, in forza di una aspettativa maturata, sempre in via autonoma e preventiva, nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile di essere vanificato dal successivo decorso degli eventi relativi al rapporto matrimoniale”.

Più dibattuta è la natura del diritto nel caso in cui il coniuge divorziato concorra con un coniuge superstite. Sul punto si confrontano due orientamenti.

Una parte della giurisprudenza e della dottrina ha ritenuto che in questo caso l’ex coniuge non sia titolare di un diritto suo proprio, ma partecipi ad una quota di un diritto altrui, cioè del diritto spettante al coniuge superstite. (Cassazione 19 gennaio 1990, n. 2003; Cassazione, sezione Unite, 25 maggio 1991, n. 5939. In dottrina Barbiera, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 114).

In sostanza, il diritto del coniuge divorziato ha natura diversa a seconda che quest’ultimo sia l’unico titolare del trattamento di reversibilità o concorra con il coniuge superstite.

Solo nel primo caso l’ex coniuge avrebbe un diritto proprio alla pensione, in quanto il coniuge superstite sarebbe l’unico destinatario della pensione di reversibilità (Cassazione 19 gennaio 1990, n. 305; Cassazione 5 luglio 1990, n. 7079; Cassazione 17 luglio 1992, n. 8687; Cassazione 9 dicembre 1992, n. 13041) e solo in una logica assistenziale la legge prevede che in alcuni casi concorra anche il coniuge divorziato per evitare la situazione di bisogno che deriverebbe dalla perdita dell’assegno divorzile a seguito del decesso del ex coniuge.

A tale conclusione indurrebbe il confronto tra il secondo e il terzo comma dell’articolo 9 della legge sul divorzio.

Mentre nella prima disposizione è espressamente riconosciuto un diritto alla pensione di reversibilità in capo al coniuge divorziato, la seconda si limiterebbe a disporre che, in caso di concorso con un coniuge superstite, al coniuge divorziato può essere attribuita dal Tribunale una quota della pensione di reversibilità spettante al coniuge superstite. (Finocchiaro, Ciascuna quota del trattamento previdenziale è stabilita in base alla durata del matrimonio, in Guida dir., 1998, 4, 50).

A questo orientamento, se ne contrappone un altro che ritiene, più correttamente, che anche nel caso di concorso con un coniuge superstite, l’ex coniuge goda di una diritto previdenziale proprio e del tutto autonomo, direttamente azionabile nei confronti dell’ente previdenziale.

 

I criteri di ripartizione della pensione di reversibilità

Prima della riforma operata dalla Legge 6 marzo 1987 n. 74, il coniuge superstite era l’unico titolare della pensione di reversibilità, mentre l’ex coniuge era solo creditore di una somma che doveva essere determinata dal Tribunale (Cassazione Civile 12 marzo 1990 n. 2003, in Giust. Civ. 1990, I, pg, 1775). Adesso invece, la legge attribuisce un autonomo diritto all’ex coniuge, in concorso con il superstite, se entrambi ne hanno i requisiti e dunque, la pensione di reversibilità spetta ad entrambi i coniugi, in proporzione alla durata dei due matrimoni. Con alcuni correttivi che nel corso degli anni ha evidenziato più volte la giurisprudenza. Infatti, il comma 3 dell'articolo 9 della legge sul divorzio, nel testo riformato, indica un unico criterio che il Tribunale deve tenere in considerazione per ripartire la pensione: la durata del rapporto matrimoniale.

Il problema fondamentale posto dall’articolo 9, comma 3, L. div., concerne il criterio di ripartizione della pensione tra tutti gli aventi diritto. Resta comunque fermo il dato che il concorso fra coniuge superstite e divorziato lascia immutata in favore del coniuge, la misura complessiva del rateo pensionistico pari al 60%, percentuale questa, che andrà divisa tra tutti i coniugi concorrenti.

Tale previsione aveva fatto sorgere dei contrasti interpretativi tra le varie sezioni della Suprema Corte ai quali aveva cercato di porre fine la sentenza delle Sezioni Unite del 12 gennaio 1998, n. 159.

Un primo orientamento  riteneva rilevante solo il criterio della durata dei rispettivi matrimoni, attribuendo al giudice il compito di applicare solo quel criterio, attraverso un'operazione sostanzialmente aritmetica, senza possibilità di temperamenti. Un secondo indirizzo , tenendo conto del rigoroso parametro della durata del rapporto matrimoniale, prevedeva, che, qualora si verificassero situazioni inique e incongrue, il giudice potesse emendarle e correggerle attraverso la valorizzazione di altri elementi di giudizio.

Il terzo orientamento , infine, riteneva che il criterio della durata del matrimonio, pur costituendo un parametro legale da non trascurare, non costituisse l'unico criterio di quantificazione. Il giudice, infatti, sarebbe tenuto a valutare anche altri elementi di riferimento, primo fra tutti quello delle condizioni economiche delle parti.

Le sezioni Unite hanno accolto la prima delle interpretazioni proposte , deducendo, in considerazione della natura previdenziale del diritto dell'ex coniuge, che l'unico criterio utilizzabile per la ripartizione della pensione di reversibilità fosse quello della durata del rapporto: Nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, ai fini della determinazione (ex art. 9, comma 3, della l. n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della l. n. 74 del 1987) della quota da attribuirsi al "coniuge divorziato" (o - più puntualmente - ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della "durata del rapporto" matrimoniale, ossia dal semplice dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l'ex coniuge deceduto. E tale durata del rapporto matrimoniale non può essere intesa che come coincidente con la durata legale del medesimo, e pertanto non possono assumere rilevanza, in pregiudizio del "coniuge divorziato", la eventuale cessazione della convivenza matrimoniale ancora prima della pronuncia di divorzio, o (in favore - questa volta - del "coniuge superstite") l'eventuale periodo di convivenza "more uxorio" con l'ex coniuge deceduto, che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio. Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi, non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l'ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali, e che rimane preclusa l'adozione di qualsiasi altro criterio di valutazione, anche se in funzione di mera emenda e di mera correzione del risultato conseguito .”

La Consulta, con la pronuncia interpretativa di rigetto n. 419 del 4 novembre 1999, ha superato l'interpretazione fornita dalle sezioni Unite , prevedendo che la ripartizione della pensione di reversibilità debba avvenire in base al criterio legale della durata del matrimonio, opportunamente corretto e mitigato attraverso la considerazione di criteri perequativi come l'ammontare dell'assegno di divorzio e le condizioni economiche delle parti.

Secondo il Giudice delle leggi, la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione: nei confronti del coniuge superstite come forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento assicurato dal reddito del coniuge deceduto; nei confronti dell'ex coniuge, titolare dell'assegno divorzile, consentendo allo stesso per un verso di poter continuare ad usufruire di una fonte di sostentamento su cui poteva contare, e, per altro verso, di assicurargli un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale.

Alla base della decisione, il Giudice delle leggi ha considerato la natura solidaristica della pensione di reversibilità sotto un duplice profilo: come forma di ultrattività della solidarietà coniugale nei confronti del coniuge superstite, consentendo la prosecuzione del sostentamento assicurato dal reddito del coniuge deceduto; come fonte di mantenimento fino a quel momento goduta, nonché quale trattamento pensionistico collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale, per quanto riguarda l'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile. Al contrario, l'applicazione del solo metodo aritmetico, secondo la Consulta, avrebbe potuto comportare una lesione del canone di ragionevolezza, generando un risultato paradossale in quanto il coniuge superstite avrebbe potuto conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l'ex coniuge avrebbe potuto assicurarsi una quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno in precedenza goduto, senza che il tribunale avesse potuto tener conto di altri criteri per riportare ad equità la situazione.

La giurisprudenza successiva, sulla scia delle indicazioni della Corte Costituzionale, ha abbandonato il criterio della rilevanza esclusiva della durata del vincolo matrimoniale e ha attribuito rilievo a circostanze ulteriori quali la convivenza more uxorio prima del secondo matrimonio, lo stato di bisogno delle parti e l'ammontare dell'assegno divorzile di cui è titolare il coniuge divorziato.

La legge 898/70 facendo riferimento alla durata del matrimonio, apparentemente esclude la convivenza more uxorio che abbia preceduto la celebrazione del matrimonio: è questo un elemento che varia da coppia a coppia e che segue un percorso analogo a quello del rapporto coniugale, dove prevale il contributo personale di una delle parti relativamente alla conduzione della vita familiare, anche in sostituzione o in aggiunta al lavoro professionale fuori casa, con un possibile pregiudizio alle aspettative di autonomia economica e affermazione professionale. (Tommaseo, Quale rilievo alla convivenza prematrimoniale ai fini dell’assegno di divorzio?, in Famiglia e Diritto, 2019, 6, 586).

Successivamente, gli Ermellini sposando questo filone interpretativo, hanno dato peso ad una serie di criteri equitativi ai fini della determinazione del riparto in oggetto:

 

- l'ammontare dell'assegno divorzile goduto dall'ex coniuge al momento della morte del titolare diretto della pensione ( Cassazione Civile, Sez. I, 21 giugno 2012, n. 10391: “La ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta "tenendo conto della durata del rapporto" cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell'eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell'entità dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso.” InCED Cassazione, 2012. In senso conforme, cfr. Cassazione Civile, sezione I, 14 giugno 2000, n. 8113 in Corriere Giur., 2000, 10, 1312 nota di Liguori; Cassazione Civile, Sezione I, 7 marzo 2006, n. 4868 in Mass. Giur. It., 2006).

 

- le condizioni economiche di ciascun coniuge, al fine di evitare che l'ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita [ Cassazione Civile, Sezione I, 16 dicembre 2004, n. 23379: “In sede di ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, il giudice del merito deve tener conto non solo della durata legale dei rispettivi matrimoni, ma anche della durata effettiva che gli stessi abbiano avuto, e quindi dare rilevanza alle situazioni di separazione di fatto che abbiano preceduto lo scioglimento del vincolo matrimoniale”. (Nella specie, nel primo matrimonio la separazione di fatto si era protratta per circa diciassette anni, nel periodo precedente all'introduzione dell'istituto del divorzio nel nostro ordinamento). In Mass. Giur. It., 2004. In senso conforme, cfr. pure, Cass. Civ., Sez. I, 14 giugno 2000, n. 8113; Cass. Civ., Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 1057: “Nel determinare le quote della pensione di reversibilità in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, la durata del rapporto non può costituire l'unico parametro cui conformarsi in base ad un mero calcolo matematico, ma si deve tener conto altresí di ulteriori elementi correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzarsi quali correttivi del risultato che conseguirebbe alla mera applicazione del criterio temporale.” In Giur. It., 2002, 1355 nota di Angioni];

 

- la durata della separazione di fatto con l'ex coniuge, che abbia preceduto lo scioglimento del vincolo matrimoniale (Cassazione Civile, sezione I, 16 dicembre 2004, n. 23379).

- la durata dell’eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite (Cassazione Civile, Sezione I, 10 maggio 2013 n. 11226: “In relazione alla ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, e specificamente indicando che tale ripartizione deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale (ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l'ex coniuge deceduto) anche ponderando ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale; fra tali elementi, da individuarsi nell'ambito della legge n. 898/1970 (Divorzio), art.5, specifico rilievo assumono l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, nonché le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, e in quest'ottica, e al solo fine di evitare che l'ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio, ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, anche l'esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata dal Giudice del merito quale elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione delle situazioni.” Sito Il caso.it, 2013; cfr. pure, Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2012, n. 10391 e Cass. Civ., ord. 26 febbraio 2020, n. 5268), a condizione che sia contraddistinta da un grado di stabilità, nonché da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all'esercizio di "diritti" e "doveri" connotato da reciprocità e corrispettività ( Cass. Civ., Sez. I, 10 ottobre 2003, n. 15148: “Il giudice del merito, nel ripartire le quote di pensione di reversibilità rispettivamente spettanti al coniuge superstite e al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile, deve applicare, quale criterio preponderante e potenzialmente decisivo, quello della durata legale dei relativi rapporti matrimoniali, ma qualora tale criterio conduca ad esiti iniqui rispetto alle particolari circostanze della concreta fattispecie, deve applicare criteri correttivi idonei a ricondurre la situazione ad equità avendo riguardo all'esigenza di tutelare, tra le due posizioni configgenti, quella del soggetto economicamente più debole e più bisognoso.” In Foro It., 2003, 1, 3277; Cass. Civ., Sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26358: “La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza "more uxorio" non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale.” In CED Cassazione, 2011).

Recentemente, la Suprema Corte, con l'ordinanza del 26 febbraio 2020, n. 5268 , in riferimento alla ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, ha confermato che la stessa debba essere eseguita, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche ponderando ulteriori elementi equitativi, tra cui l'esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, allorché ciò sia indispensabile per una più completa stima delle situazioni.

Pertanto, la sentenza annotata conferma appieno l'indirizzo ormai consolidatosi circa l'utilizzabilità di ulteriori criteri , da affiancare a quello della durata legale del matrimonio, ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità. Una soluzione che, aderente al dato letterale della norma di riferimento, consente senza dubbio di dare spazio alla funzione solidaristica di tale trattamento pensionistico, che per la sua portata non può essere circoscritta dal solo parametro temporale, che non tiene conto delle specificità che si possono rilevare nelle fattispecie concrete. Dunque, il Giudice del merito deve ponderare le tipicità che gli si prospettano nel caso concreto al fine di individuare una ripartizione conforme, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali. ( Cass. Civ., Sez. I, 30 giugno 2014, n. 14793, In Banca Dati Pluris on Line).

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