Penale

Per chi occupa le case popolari non c’è «tenuità del fatto»

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di Selene Pascasi

Nessuna giustificazione o sconto di pena per «tenuità del fatto» se l’occupazione abusiva di una casa popolare permane al momento della condanna. In tal caso, infatti, non solo si continua a ledere un patrimonio immobiliare pubblico ma se ne impedisce l’assegnazione ai soggetti più bisognosi. Lo sostiene la Corte di cassazione con sentenza n. 13765 del 29 marzo 2019. Una signora, finita sotto processo per aver occupato arbitrariamente un alloggio di proprietà Iacp (e condannata da Tribunale e giudici d’Appello) porta il caso in Cassazione: andava applicata, secondo il suo avvocato, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’articolo 131 bis del Codice penale. Intanto, rileva il legale, perché la sua assistita era incensurata e non la si poteva ricondurre nell’alveo dei delinquenti abituali. E poi, si trattava di un’azione di scarso allarme sociale. La Corte di legittimità, però, non concorda e boccia il ricorso: quello perpetrato era un reato di natura permanente, sia per le modalità di contestazione degli eventi che per «assenza di qualsiasi dimostrazione dell’interruzione della condotta illecita» provata dalla «notificazione degli atti del procedimento all’imputata proprio a quell’indirizzo». Circa la tenuità, invece, la Cassazione ha condiviso, per la fattispecie, l’orientamente secondo il quale la mancata cessazione della permanenza è sempre ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità. Sinché continua l’azione, infatti, non cessa la compressione del bene (Cassazione, sentenza 30383/2016) e non può dirsi tenue un’offesa che non si interrompe nel tempo. In relazione all’occupazione abusiva di immobili pubblici con funzione sociale che permangano fino al momento dell’emissione della sentenza di condanna, quindi, questa «priva sia l’ente titolare che i cittadini destinatari del servizio pubblico della loro disponibilità, altera le procedure di assegnazione degli stessi ai più bisognosi» .

Corte di cassazione penale – Sentenza 13765/2019

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