Per la Corte costituzionale l'esenzione Imu spetta sempre al possessore che vi risieda e vi dimori abitualmente indipendentemente dal nucleo familiare
La motivazione della sentenza risiede nella considerazione che la logica dell'esenzione dall'IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all'abitazione in cui il possessore dell'immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale
Con un intervento di ampio respiro e grande spessore interpretativo la Corte Costituzionale ha finalmente riportato l'uguaglianza al centro del rapporto di imposizione ponendo fine alla deriva interpretativa che si è consumata, per anni, discriminando fiscalmente la famiglia in questo delicato settore.
La motivazione della sentenza risiede nella considerazione che la logica dell'esenzione dall'IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all'abitazione in cui il possessore dell'immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale. Sicché dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di questa duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo. In tale prospettiva quindi la questione non è direttamente rivolta a estendere l'esenzione a qui soggetti che se la sono vista escludere, quanto piuttosto a rimuovere gli elementi di contrasto con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 31 e 53 Cost. quando il riferimento alla residenza ed alla dimora dell'intero nucleo familiare finisce per essere funzionale a negare il diritto al beneficio.
E così la Corte ritiene essere violato il disposto dell'articolo 3 della Costituzione nella misura in cui la disciplina in esame non considera sufficiente la residenza e la dimora abituale del possessore ma impone quella dell'intero suo nucleo familiare in un determinato immobile. In tal modo si concretizza una discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell'immobile di cui sia possessore.
La famiglia diventa invece che fattore premiale di trattamento fiscale, così come previsto dall'articolo 31 della Costituzione, un elemento discriminatorio. E' per questo motivo che il quadro normativo viene anche dichiarato incostituzionale in relazione a tale norma nella misura in cui integra una penalizzazione economica della famiglia.
Nel contrasto con il principio di capacità contributiva sancito dall'articolo 53 della Costituzione si concretizza un ulteriore vulnus della disciplina. Infatti, essendo l'Imu un'imposta reale e non personale, risulta del tutto inconferente lo status personale del soggetto passivo ovvero le relazioni dello stesso con il proprio nucleo familiare. Né sussistono ragioni condivisibili secondo l'insegnamento della sentenza 10/2015 della stessa Corte che lascino ammettere una diversificazione del regime tributario, il che fa conseguire che il regime oggetto di giudizio sia degenerato in una arbitraria discriminazione.
Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile. Tale è invece proprio l'effetto prodotto dal censurato quarto periodo dell'art. 13, comma 2, perché, in conseguenza del riferimento al nucleo familiare ivi contenuto, sino a che non avviene la costituzione di tale nucleo, la norma consente a ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente, di fruire pacificamente dell'esenzione IMU sull'abitazione principale, anche se unito in una convivenza di fatto: i partner in tal caso avranno diritto a una doppia esenzione, perché ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare.
La triplice illegittimità costituzionale della norma oggetto di giudizio è estesa dalla Corte anche ai regimi normativi successivi che, mantenendo la stessa portata discriminatoria hanno successivamente disciplinato la definizione di abitazione principale. E quindi è stata dichiarata illegittima la norma contenuta nel quinto periodo del comma 2 dell'articolo 13, Dl 201/2011 ed anche a quella (anche come da ultima modificata dall'articolo 5-decies del Dl 146/2021) contenuta nel comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019 che prevede che i componenti del nucleo familiare optino per una sola agevolazione quando hanno residenzee dimore abituali diverse.
Nel concludere la censure esposte la Corte ci tiene poi a delimitare l'ambito del proprio intervento precisando che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale sono funzionali a rimuovere i vulnera agli artt. 3, 31 e 53 Cost. imputabili all'attuale disciplina dell'esenzione IMU con riguardo alle abitazioni principali, ma non determinano, in nessun caso una situazione in cui le cosiddette "seconde case" delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire.
Il principio sancito è quindi quello della spettanza dell'esenzione "pro capite" senza alcun possibile riferimento alla situazione del nucleo familiare del possessore che condanna gli "automatismi" introdotti dal legislatore al fine di definire l'abitazione principale con finalità antielusiva. E su questo fronte è la stessa Corte a responsabilizzare i Comuni che dispongono di tutti gli strumenti per potere contrastare in nuce il sorgere dell'esenzione non spettante nel momento in cui verifichino ed accertino l'artifizio posto in essere dal contribuente che effettivamente non dimori abitualmente nell'immobile nel quale pure ha ottenuto la residenza.
E proprio i Comuni sono ora chiamati a risolvere gli ingenti e onerosi problemi applicativi della sentenza. In primo luogo sarà necessario modificare eventuali disposizioni regolamentari o applicative che siano state introdotte al fine di consentire ai soggetti passivi di fruire dell'esenzione secondo le previsione del regime dichiarativo disciplinato dall'articolo 5-decies del Dl 146/2021. In secondo luogo non tarderanno ad arrivare le richieste di rimborso da parte di quanti abbiano versato e non vi sarebbero stati tenuti alla luce della incostituzionalità della norma e su questo fronte sono due gli aspetti principali da considerare: il primo di natura procedurale attinente al procedimento amministrativo da adottare tanto per il rimborso d'ufficio tanto per la verifica delle istanze prodotte in ordine alla concreta integrazione della fattispecie esentativa; il secondo di natura contabile attinente alla copertura di bilancio da assicurare a fronte del rimborso da effettuare ovvero del minor gettito proveniente da eventuali atti di accertamento emessi.
A tali fini sarebbe opportuno che fossero dettate istruzioni operative che consentano agli enti di uniformarsi, pur nella loro autonomia e discrezionalità, nell'operato al fine di scongiurare pratiche che sostanzino, per rimanere nell'alveo dei diritti costituzionalmente garantiti, disuguaglianze sostanziali tra i contribuenti.
*A cura dell'Avv. Tommaso Ventre, Ph. D., Professore aggregato di Governance dei tributi locali e Fiscalità degli enti locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli, Dottore Commercialista e Revisore Legale