Giustizia

Permesso per cure mediche non più convertibile in lavoro

Ridotte le ipotesi che consentono l’accesso alla protezione speciale. Ammesso ai servizi di accoglienza chi è arrivato in Italia a seguito di corridoi umanitari

di Francesco Natalini

La legge 50/2023, di conversione del decreto 20/2023, in tema di flussi migratori e di contrasto all’immigrazione irregolare, ha apportato numerose modifiche che, probabilmente, non mancheranno di suscitare polemiche anche a livello di contrapposizione politica.

Anzi, a proposito del “peso” delle novità della legge 50 rispetto al decreto legge, va detto che, tolto l’articolo 11, sulla clausola di invarianza finanziaria e l’articolo 12 che, disciplinando l’entrata in vigore del medesimo provvedimento, si può dire che tutti gli altri articoli del decreto 20/2023 sono stati in qualche modo interessati, oltre al fatto che la legge di conversione ne ha inseriti ben 13 in più.

Ne scaturisce quindi un testo che, tenendo conto di quello originario e delle numerose modifiche apportate in sede di conversione, risulta difficile da interpretare e da armonizzare.

Limitandosi alla tematica della protezione e dell’accoglienza, va detto che già in sede di pubblicazione del decreto legge erano sorte molte polemiche, da parte di taluni interpreti, che lamentavano un irrigidimento delle tutele derivanti dall’abrogazione di alcune disposizioni riguardanti l’istituto della cosiddetta protezione speciale.

La protezione speciale, che era stata introdotta nell’ordinamento nel 2018, in sostituzione e a superamento della protezione umanitaria, è una forma di protezione alternativa, o per meglio dire, residuale rispetto alla “protezione internazionale”, dalla quale differisce per il fatto che la domanda (da presentare al questore) può essere proposta per ragioni diverse dallo status di rifugiato o di persona ammissibile alla cosiddetta protezione sussidiaria (cioè persona che, pur non essendo rifugiata, rischierebbe di subire un grave danno se tornasse nel Paese di provenienza) che sono i presupposti per l’ottenimento della richiamata protezione internazionale.

Va però precisato che la norma interessata (articolo 19, comma 1.1 del Testo unico sull’immigrazione) era stata oggetto di sfoltimento già a opera del decreto 20/2023, il quale aveva eliminato il terzo e quarto periodo che, a proposito di “protezione” dello straniero, prevedano l’inammissibilità del respingimento o dell’espulsione «qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.»

Tale previsione ha quindi avuto vita breve, essendo stata introdotta solo nel 2020, sicché oggi la protezione speciale può continuare a essere concessa solo se vi sono rischi di persecuzione per motivi di razza, sesso, orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali (ovvero possa essere reinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione), aggiungendovi quelle situazioni in cui lo straniero, in caso di espulsione, possa essere soggetto a tortura, trattamenti inumani o degradanti.

Viene quindi espunta la possibilità di restare in Italia se l’espulsione possa comportare una «violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare». A tal riguardo si è sostenuto che ciò comporti una violazione dell’articolo 8 della Cedu e di taluni principi costituzionali, anche se si potrebbe, simmetricamente, sostenere che una definizione così ampia ed elastica di fatto avrebbe forse permesso di poter addurre a chiunque una ragione riconducibile al concetto di “vita privata e familiare” per restare nel nostro Paese.

Degna di nota è anche la disposizione che esclude la conversione del permesso di soggiorno per cure mediche, a favore di stranieri con gravi motivi di salute, in permesso di lavoro, disposizione novellata che, parimenti, non mancherà di suscitare polemiche.

Sul fronte, invece, delle norme relative al sistema di accoglienza, la legge 50/2023 è intervenuta sull’articolo 1-sexies della legge 416/1989, escludendo dai servizi di accoglienza (in genere predisposti dai Comuni) i meri “richiedenti” protezione internazionale (salvo che la domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore della legge di conversione), restando tutelati solo coloro che siano già “titolari” di tale status.

C’é però una sorta di repechage, nel momento in cui il novellato comma 1-bis della stessa legge recupera (ancorché confonda «periodo» con «comma») i richiedenti protezione internazionale a condizione, però, che abbiano fatto ingresso in Italia a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale che prevedono l’individuazione dei beneficiari nei Paesi di origine o di transito in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

Invece all’articolo 7-ter della legge 50/2023 vengono definite le disposizioni in materia di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale, stabilendo che la Commissione territoriale (deputata a decidere sulle istanze), nel caso in cui ritenga che non sussistano i presupposti per il riconoscimento e non ricorrano le condizioni per la trasmissione degli atti al questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale o per cure mediche, acquisisce dal questore elementi informativi circa la non sussistenza di una delle cause impeditive previste dall’articolo 19, commi 1-bis e 2, del Testo unico (minori, donne in gravidanza, affetti da gravi patologie, anziani, invalidi, eccetera).

Infine, si ricorda che sono state definite le condizioni per la revoca delle condizioni di accoglienza (nuovo articolo 5-ter), mentre nell’articolo 6-ter vengono disciplinate altre modalità, eliminando lo specifico riferimento ai corsi di lingua italiana e ai servizi di orientamento legale in ragione di una più generica «mediazione linguistico-culturale».

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