Petrolchimico di Gela, non provato il nesso tra malformazioni e immissioni nocive
Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 13294 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo nei confronti di Eni; Raffineria di Gela e Eni Rewind
Manca la prova scientifica, ma anche solo statistica, di una correlazione tra l’inquinamento del petrolchimico di Gela - fondato nel 1963 da Enrico Mattei - e la malformazione del ricorrente nato nel 1992. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 13294 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo (e dei suoi genitori e fratelli) affetto da “ipo-agenesia trasversa arto superiore sx” nei confronti di Eni; Raffineria di Gela e Eni Rewind (già Syndial).
Secondo i ricorrenti le gravi malformazioni congenite erano la conseguenza delle immissioni ambientali nocive della raffineria. Prima il tribunale di Gela (“mancato raggiungimento della prova”) e poi la Corte di appello di Caltanissetta hanno però respinto le richieste di risarcimento. In particolare, il giudice di secondo grado la cui motivazione oggi è stata oggi confermata dalla Suprema corte ha affermato che non vi è alcuna “certezza scientifica” che consente di correlare “la patologia sofferta dall’appellante alle sostanze nocive emesse dagli stabilimenti gelesi”, ma che è soltanto “possibile” collegare i due eventi, (come ritenuto dalla CTU). Una condizione che “non consentiva di accertare il nesso di causalità secondo la regola della ‘preponderanza dell’evidenza’ (o del ‘più probabile che non’), mediante l’esclusione di spiegazioni causali alternative”. Come per esempio, nel caso specifico, l’utilizzo di pesticidi nell’area di residenza dei ricorrenti. Né infine dai dati scientifici emergeva un aumento delle ipo-agenesie nella zona rispetto ad altre zone d’Italia o d’Europa.
Per la Suprema corte, dunque, il giudice di merito, con valutazione non censurabile in Cassazione, ha negato che la “mera possibilità che le immissioni nocive di SO2 nell’ambiente gelese avessero causato le malformazioni congenite patite dal ricorrente consentisse di ritenere assolto l’onere probatorio gravante su quest’ultimo, quanto al profilo eziologico”. Pervenendo anche alla conclusione che entrambi i fenomeni – l’uso dei pesticidi e le immissioni di SO2 – sono solo la “possibile causa”, non anche la “probabile causa”, delle malformazioni patite dal ricorrente. Del resto, trattandosi di patologia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità, ricorda la Cassazione, non può essere oggetto di semplici presunzioni, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, anche in termini di probabilità che deve essere però ‘qualificata’, dunque da verificarsi attraverso ulteriori elementi.
In un altro passaggio, a fronte della lamentata mancanza di prove fornita dalle società per dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie ad evitare il danno, la Corte afferma che l’onus probandi a carico delle società controricorrenti avrebbe potuto venire in rilievo solo una volta assolto, l’onere probatorio, comprensivo anche della dimostrazione del nesso di causalità, da parte di chi chiedeva il risarcimento, il che non è avvenuto. Infine, anche il c.d. quinto rapporto Sentieri (di molto successivo agli eventi), inserito nei motivi di ricorso, difetta di “specifiche ed analitiche indicazioni statistiche sia sul periodo riferibile al concepimento dell’odierno ricorrente (nato nel 1992), sia alla ipo-agenesia da cui questi è purtroppo affetto”.
Accolto invece il motivo relativo alle spese di giudizio. Il giudice d’appello, si legge nella decisione, non ha infatti adeguatamente considerato che “la assoluta novità della questione trattata, che può giustificare la compensazione delle spese di lite, non necessariamente deve investire la valutazione giuridica (come nella sostanza ritenuto dalla Corte nissena), ma può anche riguardare la dimensione fattuale”. E allora, la Corte d’appello ben avrebbe potuto valutare che, nel panorama giurisprudenziale, da quanto è dato conoscere, “non risulta alcun precedente concernente la specifica questione qui sub iudice, se non altro in riferimento alla dimensione territoriale e industriale coinvolte nel presente giudizio”. L’esito negativo del ricorso dipende, infatti, dal deficit probatorio sul nesso di causalità, questione che è legata, ovviamente, al progresso scientifico sulle questioni epidemiologiche esaminate: “la decisione, inevitabilmente, viene adottata in base a quanto è noto in un dato momento storico, sicché una lettura della ’novità’ della questione limitata al solo piano giuridico, come ritenuto dalla Corte territoriale, non fa giustizia delle ragioni, al fondo, equitative, che consentono di derogare alla regola generale della soccombenza, ex art. 91 c.p.p.”.