Responsabilità

P.N.R.R., tutela dell'ambiente e d.lgs. 231/01: una particolare modalità di estinzione delle contravvenzioni

Sono rilevanti le modifiche di recente introduzione con cui le imprese dovranno fare i conti nelle ipotesi in cui intendano accedere al meccanismo premiale che consente loro, almeno nelle ipotesi meno gravi, di scongiurare il rischio di afflizione penale

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di Gaetano Passante*

La tutela dell'ambiente, nelle sue varie forme, è un argomento che dovrebbe riguardare l'intera collettività. A tale assunto, tuttavia, spesso si è contrapposta la necessità di contemperare esigenze convenzionali altrettanto meritevoli di attenzione, nel sistema di norme e valori posti a fondamento di un determinato assetto sociale.

L'evoluzione tecnologica – in maniera esponenziale negli ultimi decenni – si è focalizzata principalmente sul valore della produttività sfrenata, vera e propria linfa vitale della moderna società capitalistica. Tale condizione, però, ha comportato anche alcune rilevanti conseguenze sfavorevoli. Ci si riferisce, naturalmente, alla sostenibilità ambientale del modello di sviluppo adottato dalla maggior parte delle economie mondiali.

Ebbene, i primi timidi tentativi di correzione del modello hanno reso necessaria, in prima battuta, la stipula di accordi e protocolli internazionali finalizzati al contenimento dell'impatto negativo sui diversi ecosistemi del pianeta (tra i più importanti si segnalano il Protocollo di Kyoto del 1997 e l'accordo di Parigi del 2015, stipulati nell'ambito di conferenze che si tengono annualmente in seno alla Comunità internazionale, denominate C.O.P.).

Negli ultimi anni, poi, tale consapevolezza ha assunto dimensioni via via crescenti, complice l'innegabile spinta dei cambiamenti climatici, divenuti vero e proprio campo di battaglia tra i sostenitori dell'attuale modello di sviluppo ed i numerosi movimenti di protesta internazionali a favore di un'economia "green" più rispettosa del pianeta.

Questa rinnovata sensibilità sui temi ambientali ha trovato in Italia un importante riconoscimento normativo con la recentissima riforma costituzionale del 2021, che ha interessato sia la parte relativa ai principi fondamentali della Carta stessa (art. 9), sia quella riservata alle norme in tema di libertà di iniziativa economica (art. 41).

Tuttavia, appare superfluo evidenziare che la strada segnata da questi pur importanti traguardi normativi – diremmo di indirizzo politico legislativo – è tutt'altro che spianata, e sconta soprattutto le resistenze che si incontrano nel convertire politiche industriali consolidate nonché le difficoltà legate allo sfruttamento di risorse ambientali difficilmente surrogabili, quantomeno nel brevissimo periodo.

Le modifiche al sistema sanzionatorio della legge n. 68/2015

Con la riforma di cui alla l. n 68 del 2015 , apprezzabili sono stati i passi in avanti sul tema ambientale compiuti dal legislatore. In particolare, le innovazioni più rilevanti attengono all'introduzione nell'ordinamento di fattispecie di reati di danno o di pericolo concreto di natura delittuosa e, inoltre, al loro inquadramento nell'ambito dei reati presupposto della responsabilità degli enti.

Infatti, proprio l'assenza di queste due matrici nell'assetto normativo previgente contribuiva a relegare il diritto penale dell'ambiente ad una dimensione prevalentemente simbolica.
Di tal guisa, il diritto penale assumeva un ruolo meramente ancillare rispetto all'impianto normativo/sanzionatorio di carattere amministrativo. Ed è stata soprattutto la spinta proveniente dalla legislazione europea che ha determinato un cambio di passo, nel senso di puntare su uno sviluppo più sostenibile ed improntato a principi di precauzione.

È stata così messa in luce la scarsa efficacia dell'apparato repressivo di stampo contravvenzionale soprattutto laddove si limita alla comminazione di sanzioni pecuniarie piuttosto modeste. Con l'ovvia conseguenza di svilire l'efficacia deterrente delle ammende applicate alla persona fisica, che l'imprenditore finisce per considerare come parte dei prevedibili costi che l'azienda deve sostenere per operare in condizioni di relativa impunità.

Un ulteriore punctum dolens del previgente sistema di tutela ambientale è stato poi rappresentato dalla mancata predisposizione di sanzioni di natura interdittiva.

Come accennato, tali condizioni (esiguità del trattamento sanzionatorio ed assenza di rimedi interdittivi) hanno favorito, in uno alla brevità dei termini di prescrizione propri delle fattispecie contravvenzionali e dalla conseguente applicazione di quegli istituti processuali che contribuiscono alla mitigazione complessiva della pena (oblazione, sospensione condizionale, ecc.), l'affermarsi della c.d. "monetizzazione" del diritto penale ambientale, che risulta di gran lunga più vantaggiosa di quanto non sarebbe la conduzione di una politica d'impresa orientata al rispetto dei precetti normativo-cautelari.

Risulta quindi evidente che la predisposizione di un sistema sanzionatorio più efficace, che consenta di estendere la responsabilità per i reati ambientali anche alle persone giuridiche (estensione attuata invero con un decennio di ritardo, per effetto del d.lgs. n. 121/2011), sia stato un passaggio indispensabile per contribuire ad arginare il rischio di neutralizzazione delle conseguenze sanzionatorie previste per le persone fisiche.

L'inclusione dei reati ambientali nel catalogo previsto dal d.lgs. 231/2001 consente, dunque, di contrastare la spersonalizzazione dei centri decisionali, valorizzando il ruolo di responsabilità attribuita agli apparati decisionali che governano le scelte dell'ente, al fine di scongiurare (o quantomeno mitigare) i rischi di commissione dell'illecito al suo interno.

Solo per rendere l'idea della delicatezza del tema, giova richiamare alcuni esempi di quanto possa incidere la mancanza di un assetto normativo capace non solo di arginare i rischi per la salute connessi a politiche aziendali – sostanzialmente fuori controllo –, ma anche di orientare in sede preventiva le scelte imprenditoriali nel senso di processi produttivi più virtuosi. Ci si riferisce alle note vicende verificatesi negli stabilimenti delle aziende "Eternit" e, più di recente, "Ilva" di Taranto.

La modalità di estinzione delle contravvenzioni di cui all'art. 318 ter T.U.A. – Modifiche ad opera del P.N.R.R.

Tra le innovazioni normative, un particolare cenno va fatto alla introduzione della "Parte VI bis" nel Testo Unico Ambientale, rubricata "Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale". Con la novella in parola, è stata inserita una nuova modalità di estinzione di quelle contravvenzioni ambientali commesse, che non abbiano però cagionato danno o pericolo concreto e attuale alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette ( art. 318 bis ).

Attraverso l'adempimento di una determinata prescrizione, in un termine fissato dall'Autorità competente (di durata non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario), infatti, è possibile estinguere la contravvenzione accertata, mediante il compimento di determinate attività, certificate da enti specializzati competenti in materia, e mediante il pagamento di una pena pecuniaria.
Lo scopo è, naturalmente, quello di impartire indicazioni vincolanti a chi si sia reso responsabile della commissione di un illecito contravvenzionale, finalizzate alla cessazione della situazione di pericolo, ovvero alla inibizione della prosecuzione dell'attività potenzialmente dannosa o pericolosa per l'ambiente.

Il procedimento origina dalla comunicazione ad opera dell'Organo accertatore della notizia di reato relativa alla contravvenzione (art. 318 ter, comma 4). Successivamente, detto procedimento penale viene sospeso, ai sensi dell'art. 318 sexies, fino ai termini indicati per la verifica dell'adempimento. Entro sessanta giorni dal termine stabilito dalla prescrizione impartita dall'Autorità, lo stesso Organo accertatore dovrà assicurarsi che la violazione sia stata eliminata nel rispetto delle prescrizioni indicate. Diversamente, entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato, l'originario procedimento penale riprenderà il suo corso.

Peraltro, nell'ambito di uno dei decreti attuativi del Piano di Ripresa e Resilienza, convertito con la legge n. 79 del 29 giugno 2022, sono stati previsti alcuni correttivi. In primis, è stato aggiunto il comma 4 bis all'art. 318 ter che statuisce che con apposito decreto ministeriale siano stabiliti gli importi dovuti per l'attività di asseverazione delle prescrizioni impartite dall'Autorità (ovvero per la redazione delle prescrizioni allorquando non impartite direttamente da un'amministrazione statale), la cui corresponsione viene posta a carico del contravventore.

Inoltre, con la modifica dell'art. 318 quater viene stabilito che "quando risulta l'adempimento della prescrizione" il contravventore sia ammesso, entro 30 giorni, al pagamento in sede amministrativa di una sanzione pari ad un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Solo in questo modo lo stesso potrà essere ammesso al beneficio del dell'estinzione del reato. Diversamente, la sospensione del procedimento viene revocata e l'esercizio dell'azione penale riprende il suo corso, salvo ulteriori motivi di proscioglimento.

Alla luce di quanto premesso, dunque, le imprese dovranno fare i conti con queste rilevanti modifiche di recente introduzione, nelle ipotesi in cui intendano accedere al meccanismo premiale che consente loro, almeno nelle ipotesi meno gravi, di scongiurare il rischio di afflizione penale.

A tal proposito, ed in virtù della rilevanza che il descritto meccanismo possiede anche in relazione alla disciplina di cui al d.lgs. 231/01, occorre interrogarsi sulla sorte dell'imputazione all'ente allorquando la persona fisica autrice del reato acceda ad un siffatto trattamento premiale e determini, di tal guisa, l'estinzione del reato di cui all'art. 318 septies.

Sul punto, si registrano due differenti posizioni: la prima, minoritaria, ritiene possibile un'estensione dell'estinzione del reato anche a favore dell'ente, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., quale corollario della previsione di cui all'art. 34 del d.lgs. n 231/2001; la seconda, avallata da maggiore dottrina, considera i due profili distinti tra loro, sulla scorta dell'argomento di cui all'art. 8 del d.lgs. stesso, che fa riferimento esclusivamente all'amnistia quando parla della possibilità di estendere la sorte estintiva del reato presupposto anche alla persona giuridica.

In assenza di indicazioni legislative esplicite sul punto, dunque, non resta che auspicare futuri chiarimenti, in sede di Legittimità.

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*A cura dell'Avv. Gaetano Passante, Partner 24 ORE Avvocati


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