Poste non risarcisce Genertel per il bonifico pagato alla persona sbagliata
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 30932 depositata oggi, per il caso in cui la banca abbia seguito la procedure di identificazione prevista
Poste italiane non deve risarcire Genertel per aver pagato il “bonifico domiciliato” alla persona sbagliata (costringendo la compagnia di assicurazione a un secondo pagamento) se dimostra di aver eseguito correttamente la procedura di identificazione. E cioè di aver verificato il documento di identità (poi risultato falso ma non nei suoi elementi identificativi), oltre al codice fiscale e alla password inviata al domicilio dell’utente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 30932 depositata oggi, respingendo il ricorso di Genertel e chiarendo che non esiste una responsabilità oggettiva della banca che dunque può sempre provare l’assenza di colpa. Né vi è un obbligo, come invece sostenuto da Genertel e indicato anche in una circolare Abi del 7 maggio 2001, di richiedere due documenti identificativi prima di pagare. (Il bonifico domiciliato è un servizio di Poste che permette la corresponsione di somme in contanti anche a chi non ha un conto corrente).
Per la Terza sezione civile dunque il giudice di appello ha correttamente ritenuto che Poste Italiane “avesse fornito la prova di avere adoperato la dovuta diligenza professionale nell’identificazione della persona presentatasi all’incasso, da un lato procedendo, nel rispetto delle condizioni generali di contratto, a riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica effettuata da Genertel s.p.a. con quelli riportati sul documento di riconoscimento presentato allo sportello dal preteso beneficiario per la riscossione; e, dall’altro lato, ricevendo, da parte di quest’ultimo, la comunicazione del proprio codice fiscale e della parola chiave fornitagli dall’ordinante, onde controllarne la coincidenza con quelli presenti nel flusso del mandato elettronico”. Mentre la “mancanza di evidenti anomalie nel documento di identità” escludeva l’esigibilità dalla banca mandataria di “maggiori cautele, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di identificazione secondo gli standard propri del banchiere”.
Diversamente, prosegue la decisione, per un verso, sarebbero stati disattesi i principi relativi al carattere non precettivo della raccomandazione ABI; per altro verso, sarebbe stata disapplicata la regola, desumibile dalle disposizioni di legge sull’efficacia certificativa dei singoli documenti d’identità - e comunque socialmente riconosciuta - secondo cui l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento di identità personale.
L’attività di identificazione, anche attraverso la procedura “Oracolo” (che consente di controllare in tempo reale l’autenticità dei documenti di identificazione, tramite un collegamento diretto alle banche dati di Poste italiane), “appare perfettamente conforme - prosegue la Cassazione - alla regola, socialmente riconosciuta, secondo cui l’identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro del documento di identità di volta in volta esibito; né, in mancanza di specifica prescrizione normativa, può reputarsi esistente una best practice che impone al delegato di pagamento l’estrazione di copia e la conseguente conservazione del documento esaminato in funzione dell’identificazione del delegatario, anche in ragione della necessità di bilanciare le esigenze dell’attività di identificazione con quelle di tutela della riservatezza della persona identificata, che consentono la conservazione della copia riprodotta solo in casi stabiliti selettivamente dalla legge e non oltre il tempo necessario in rapporto alle finalità perseguite (Delib. del Garante per la Protezione dei Dati Personali 27 ottobre 2005)”.