Penale

Poste, peculato per lo sportellista che sottrae denaro

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di Andrea Alberto Moramarco

L'addetto al servizio dei bollettini postali, a prescindere dal fatto che sia dipendente delle Poste o di una società interinale, esercita concreto funzioni di certificazione e non mansioni meramente esecutive e, conseguentemente, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Se, pertanto, lo sportellista si impossessa di denaro versato dagli utenti in occasione del pagamento di bollettini, si configura il delitto di peculato e non quello di appropriazione indebita. Ad affermarlo è la Corte d'appello di Roma nella sentenza 1744/2017.

Il caso - Protagonista della vicenda è una donna, all'epoca dei fatti lavoratrice interinale di una società privata e addetta al servizio pagamenti dei bollettini postali di Poste italiane. L'impiegata, in occasione del pagamento di un bollettino relativo al finanziamento concesso per l'acquisto di una autovettura da parte di un utente, dopo il versamento del denaro annullava l'operazione, trattenendo per sé la somma pari a 345 euro. In seguito, la sportellista, dispiaciuta per l'accaduto e pentita di quanto commesso, restituiva all'utente la somma illecitamente sottratta, ma ciò non impediva l'indagine e l'accusa penale nei suoi confronti.

La qualifica giuridica - Nel processo di primo grado, fermo restando la commissione del fatto da parte dell'imputata, si poneva la questione della qualifica giuridica da attribuire a quest'ultima, in considerazione del fatto che la stessa era assunta come lavoratrice interinale, e per questa via del reato addebitabile all'impiegata: peculato in caso di qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio; appropriazione indebita in caso contrario, con improcedibilità per difetto di querela. Ebbene, il Tribunale risolveva il nodo interpretativo facendo leva sulle concrete mansioni svolte dall'impiegata, ovvero funzioni di certificazione e non mansioni meramente esecutive, riconoscendo il delitto di peculato, essendo irrilevante che la sportellista non fosse una dipendente diretta delle Poste, ma una lavoratrice interinale di una ditta privata.

Le motivazioni - La questione si ripropone in appello dove la difesa dell'impiegata pone l'attenzione nuovamente sull'esatta qualifica giuridica da attribuire alla lavoratrice interinale. Tuttavia, anche per la Corte d'appello il reato commesso è quello di cui all'articolo 314 del codice penale, dovendosi guardare alle concrete mansioni svolte a prescindere dal fatto che l'agente sia dipendente o meno delle Poste. Ad esempio, affermano i giudici, la giurisprudenza di legittimità attribuisce la qualifica di incaricato di pubblico servizio anche «al portalettere che si impossessi del vaglia postale e di cui abbia la disponibilità per ragioni del suo servizio e ciò in ragione dei compiti di certificazione della consegna». E nel caso di specie, è chiaro che l'imputata era addetta al servizio dei bollettini postali e perciò aveva «in concreto funzioni di certificazione e non mansioni meramente esecutive, prive di qualsivoglia discrezionalità e di autonomia decisionale».

Corte d'appello di Roma - Sezione III penale - Sentenza 11 aprile 2017 n. 1744

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