Comunitario e Internazionale

Potere e autonomia delle Big Tech, le recenti pronunce internazionali

Una questione che interessa privacy e antitrust ma anche scelte di politica economica e libertà fondamentali

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di Francesca Sutti*

L'antitrust americano vuole smembrare Facebook, a partire da WhatsApp. Intanto, un'altra autorità, questa volta europea e per la privacy, chiarisce che Facebook e WhatsApp non possono trasferirsi i dati come se fossero una singola entità per il solo fatto di far parte dello stesso gruppo.

Più precisamente, il Data Privacy Commissioner irlandese ha inflitto a WhatsApp Inc., controllata da Facebook, una multa da 225 milioni di euro: la sanzione più pesante mai comminata da tale autorità.

La decisione adottata dall'autorità verte sull'(asserito) mancato assolvimento da parte di WhatsApp degli obblighi di trasparenza sull'utilizzazione e sulla raccolta dei dati dei suoi utenti, nonché sulla condivisione con Facebook degli stessi.

Tutto ciò sarebbe avvenuto, secondo l'autorità, in violazione degli artt. 12, 13, e 14 del GDPR, il regolamento europeo sulla tutela dei dati personali. Dal canto suo, la società californiana ha manifestato sin da subito il proprio disaccordo con la decisione, ritenendo la sanzione assolutamente sproporzionata e dichiarando di aver sempre avuto la massima accortezza nel garantire la completezza nonché la trasparenza delle informazioni fornite.

La pronuncia dell'autorità per la tutela dei dati personali irlandese, qui brevemente richiamata, finisce quindi per inserirsi in un quadro più ampio che vede Stati Uniti ed Europa in posizioni contrapposte: costringere i grandi colossi del mondo tecnologico, come Facebook, a ridimensionarsi, oppure a ristrutturare le proprie attività.

Proprio di quest'ultimo avviso è la Federal Trade Commission, il cui Bureau of Competition, preposto all'applicazione del diritto antitrust statunitense, ha recentemente instaurato una nuova procedura contro Facebook. Sollecitando la necessità di procedere in maniera strutturale contro il colosso, la FTC ha suggerito, tra gli altri rimedi, una ristrutturazione di Facebook, proponendo che essa includa una cessione, quantomeno, di Instagram e/o WhatsApp.

Le motivazioni della FTC risiederebbero nel fatto che Facebook avrebbe creato un monopolio nel mercato definito come social network personale attraverso condotte illecite in violazione dell'Articolo 2 dello Sherman Act. Norma che, da oltre cent'anni, proibisce l'acquisizione o il mantenimento di una posizione di monopolio attraverso comportamenti anticoncorrenziali. Si osservi inoltre, che l'autorità antitrust americana, include una seconda contestazione, probabilmente quella che qui più interessa: tra i comportamenti che Facebook ha attuato – falsando il gioco concorrenziale e mettendo i potenziali concorrenti nell'impossibilità di accedere al mercato figurano proprio una serie di acquisizioni, in primo luogo quella di WhatsApp.

Rispetto a questa posizione, risulta molto più prudente quella delle istituzioni europee secondo le quali non avrebbe senso proibire un'acquisizione di un new joiner del mercato di per sé, né, tantomeno, stabilire un generale divieto alle imprese dominanti di portare a termine acquisizioni. Resta tuttavia innegabile che, ad oggi, le Commissioni e le Corti europee non sono sufficientemente supportate da una legislazione idonea a valutare i nuovi casi dei mercati digitali.

È opportuno rilevare che molto spesso è riduttivo, se non nocivo, focalizzarsi sugli aspetti orizzontali (come suggerisce la regolamentazione vigente) senza rivolgere la propria attenzione a quelli conglomerali.  

Si prenda per esempio l'acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook, dove la Commissione, proprio focalizzandosi su detti aspetti orizzontali, ha rilevato come le due imprese fossero "concorrenti distanti" tra di loro.   Ulteriore esempio di questo tipo di analisi, è la decisione della Commissione con cui Facebook nel 2017 è stata sanzionata per 110 milioni di euro per aver fornito informazioni false in sede di notifica. Infatti, motivando che Facebook e WhatsApp erano concorrenti distanti, la Commissione ha riaffermato il suo consenso alla transazione.

Viene inevitabilmente da domandarsi quanto peso abbia avuto in tale decisione la combinazione dell'immenso patrimonio dei dati tra le due. Probabilmente molto poco. Tuttavia, prevedere che le autorità abbiano il potere di ordinare a un'impresa di dismettere una delle sue attività, magari una delle più importanti, per di più ad anni di distanza dall'acquisizione della stessa, mina in radice la tutela garantita dalla certezza del diritto. Il pericolo è ancor più forte per il fatto che, un tale provvedimento, si baserebbe su valutazioni ex post nel quadro di un'evoluzione fattuale dello scenario originale, scenario magari nemmeno prevedibile ex ante.

Quindi, in Europa, piuttosto che invasivi interventi strutturali ex post, si pensa a interventi regolamentari volti a porre rimedio alla corrente inadeguatezza degli strumenti giuridici a disposizione delle varie autorità. Come evidenziato da un recente paper della Commissione e dalla Commissaria europea Vestager stessa, la Commissione sarà per esempio in grado di chiedere alle autorità nazionali di sottoporle quelle operazioni che, pur essendo sospettate di potenziale pericolosità per la concorrenza, sfuggirebbero allo scrutinio della Commissione, in quanto non soddisfano i requisiti dimensionali al di sopra dei quali l'operazione è soggetta all'esame da parte della stessa Commissione e non delle singole autorità nazionali.

Ciò avviene, in particolare, nei casi di concorrenti in fase embrionale e soprattutto se si opera nei mercati farmaceutico, digitale o biotecnologico. A riprova della più cauta posizione dell'Europa, vi è anche il Digital Markets Act il quale, per l'appunto, abbraccia la valutazione ex ante di fusione e acquisizioni da parte delle Big Tech.

Ma questa non è la visione di tutti gli Stati membri: l'autorità antitrust tedesca, il Bundeskartellamt, ha in passato qualificato delle violazioni del trattamento dei dati come un illecito anticoncorrenziale, per la precisione un abuso della posizione dominate detenuta da Facebook sul mercato tedesco dei social network personali.

Il principale comportamento oggetto di censura consisteva, secondo l'autorità, nel trattamento da parte di Facebook dei dati sull'attività di browsing degli utenti che visitavano siti includenti il pulsante "like" di Facebook. Questa interpretazione un po' estrema dell'uso dei dati è ora al vaglio della Corte Europea di Giustizia su rinvio della corte regionale di Düsseldorf. Nel riferire alla Corte di Giustizia la valutazione sul possibile eccesso di potere del Bundeskartellamt, il collegio giudicante ha però suggerito che il vero problema nella raccolta dei dati di Facebook è legato al fatto che sotto lo stesso ombrello vi sono anche applicazioni come WhatsApp, Instagram e Oculus. Una questione difficile, dunque, dove non si intrecciano solo privacy e antitrust, ma anche scelte di politica economica e libertà fondamentali.

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*A cura di Francesca Sutti, Partner WLex – Studio Legale

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