Prescrizione lunga da limitare
Una diffusa imprecisione occupa gli orientamenti della Cassazione che pretendono di applicare il termine di “prescrizione” decennale alla riscossione. Si dice – errando – che, in fase di riscossione, nella carenza di una espressa disposizione di legge, è applicabile la prescrizione ordinaria decennale (articolo 2946 del Codice civile) quale unico termine rilevante in fase di recupero.
Secondo tale lettura (28315/2019), «una volta divenuto definitivo l'atto di accertamento o la cartella per mancata impugnazione nel termine di decadenza, la pretesa tributaria resta soggetta, in fase di riscossione, al termine di prescrizione propria del tributo».
La recentissima sentenza 6549/ 2020 del 9 marzo 2020, nel far proprio l'orientamento delle Sezioni unite (23397 / 2016), ribadisce l'equivoco di fondo: «La scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c.». Tale principio si applica con riguardo a tutti gli atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie e non, di crediti di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'articolo 2953 del Codice civile, tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.
Appare del tutto fuorviante affermare, come fa la Suprema corte a più riprese (11555/2018, ex multis) che il termine di decadenza concernerebbe solo l'esercizio del potere impositivo-accertativo, e non quello di riscossione; con la conseguenza che, esauritasi la fase di accertamento del credito tributario, non resta che applicare la disciplina della realizzazione di un credito certo, liquido ed esigibile, assoggettata all'unico limite della prescrizione decennale.
Né c'entra il richiamo (Cassazione Sezioni unite n. 23397/2016), per i tributi erariali - Irpef, Ires, Irap, Iva – ad una presunta inapplicabilità della prescrizione breve di cinque anni prevista per le prestazioni periodiche, ai sensi dell'articolo 2948 del Codice civile.
La posizione della Cassazione non appare condivisibile sul piano del diritto costituzionale tributario.
Anzitutto, per quanto talvolta non così chiara, va segnata una netta distinzione tra prescrizione e decadenza.
Come noto gli atti dell’amministrazione finanziaria sono sottoposti a decadenza: ogni potere d'accertamento, di riscossione, di comminazione di sanzioni può essere validamente compiuto entro un termine di decadenza previsto dalla legge.
Il vizio dell'atto per avvenuta decadenza è un vizio insanabile, con l'effetto di consolidare definitivamente gli atti del privato e di precludere l'accertamento d'ufficio nel caso di omessa dichiarazione.
Il termine di prescrizione del credito della finanza decorre da quando l'imposta diventa esigibile: se la legge tributaria non dispone diversamente, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale.
Aderendo alla tesi della Cassazione, il contribuente rimarrebbe assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato, e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole.
Riscossione e accertamento non sono concetti fungibili, così come non sono sovrapponibili decadenza e prescrizione.
L'iscrizione a ruolo, che è atto della riscossione contenente l'ordine di pagare, non può mai essere un atto di accertamento, essendo evidenti le differenze di natura, motivazione, funzione, effetti. La riforma del Dpr 602/1973 ha confermato ancora di più la natura meramente esecutiva dell'iscrizione a ruolo.
Ma è noto che gli effetti dell'iscrizione a ruolo si producono, nei confronti del contribuente, con la notificazione della cartella di pagamento.
È altresì noto che detta notificazione deve avvenire entro termini di decadenza tassativamente stabiliti dalla legge. Confondere la prescrizione con la decadenza esporrebbe il contribuente all'azione esecutiva dell'ufficio per un tempo eccessivo, certamente in contrasto con i termini normati dal legislatore e, prima ancora, con il principio costituzionale di ragionevolezza.