Il CommentoComunitario e Internazionale

Procedura arbitrale Ue, lotta alle doppie imposizioni

Definito "soggetto interessato" qualsiasi soggetto residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato o di un altro Stato membro

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di Marco Adda e Benedetta Alinovi

La direttiva (Ue) 2017/1852 sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea - recepita a livello domestico con il decreto legislativo del 10 giugno 2020, n. 49 - rappresenta un fortissimo elemento di discontinuità nella gestione delle tematiche connesse alla doppia imposizione economica e giuridica all'interno dell'Unione Europea. È, infatti stato scelto uno strumento giuridico come la direttiva che mira ad armonizzare le diverse disposizioni dei singoli Stati membri e soggiace all'interpretazione della Corte di giustizia. L'adozione di questo strumento era già stato ipotizzato nel 1976 con la proposta di direttiva per la risoluzione della doppia imposizione in materia di transfer pricing, la quale tuttavia non ha trovato approvazione ed è stata sostituita nel 1990 dalla Convenzione 90/436/Cee del 23 luglio 1990 (Convenzione arbitrale).
Si è inteso coprire un ambito oggettivo più ampio di quello della Convenzione arbitrale (che trova applicazione solo in ipotesi di rettifiche sui prezzi di trasferimento e di attribuzione di utili alle stabili organizzazioni), si è previsto un meccanismo di risoluzione delle controversie basato su una procedura dalle tempistiche ben definite, con obbligo di risultato e su una maggiore partecipazione del contribuente.
L'indubbia rilevanza di questo nuovo strumento di eliminazione della doppia imposizione giuridica ed economica, così come recepito a livello domestico dal decreto legislativo, induce a formulare alcune riflessioni preliminari sul suo ambito di applicazione.
L'articolo 1 del decreto (in linea con la direttiva) prevede che la procedura si applichi a controversie tra Stati membri derivanti dall'interpretazione e dall'applicazione degli «Accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni». Il riferimento agli "accordi" potrebbe essere inteso come un'endiadi rispetto al termine "convenzioni", o al contrario potrebbe consentire di applicare il meccanismo anche a fattispecie ulteriori.
Seguendo i chiarimenti contenuti nella relazione di accompagnamento al decreto, si dovrebbe propendere per una lettura restrittiva dato che deve trattarsi comunque di «procedure attivate ad istanza del contribuente la cui imposizione è direttamente interessata in una questione controversa» e sono escluse le procedure tra autorità competenti aventi una finalità interpretativa.
In base al decreto, "doppia imposizione" identifica un'imposizione aggiuntiva, un aumento delle imposte dovute ovvero annullamento o riduzione delle perdite. Tale definizione è estremamente importante in quanto le Autorità fiscali hanno la facoltà di precludere l'accesso alla fase arbitrale qualora ritengano non sussistente un fenomeno di "doppia imposizione".
Sarebbe importante specificare se, per l'attivazione della procedura, sia necessario dimostrare l'effettivo assoggettamento ad imposizione del medesimo reddito in entrambi gli Stati membri (sostanzialmente assumendo l'esistenza di un requisito del tipo "subject to tax"). La proposta di direttiva del 25 ottobre 2016 escludeva dal suo ambito di applicazione le ipotesi di redditi o capitali rientranti in fattispecie di esenzione fiscale o di aliquota zero.
La mancata riproposizione di tale definizione nella versione finale della direttiva potrebbe, pertanto, comportare esiti contrastanti tra gli Stati membri nell'apprezzamento dell'effettiva sussistenza del requisito oggettivo e limitare l'attivazione della fase arbitrale (vedasi al riguardo la riserva posta dall'Italia in sede di recepimento dell'Mli in ipotesi di tassazione con aliquota zero).
Il decreto (in linea con la direttiva) definisce "soggetto interessato" qualsiasi soggetto residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato o di un altro Stato membro. La proposta di direttiva del 2016 prevedeva un ambito di applicazione soggettivo molto diverso rispetto al testo definitivo, stabilendo che la procedura potesse essere attivata da ogni persona interessata, ivi comprese le stabili organizzazioni situate in uno o più Stati membri, con sede in uno Stato membro o in una giurisdizione al di fuori dell'Unione. Stante il riferimento alla condizione di soggetto "residente" previsto nel testo definitivo, appare dubbio che la procedura possa ricomprendere le stabili organizzazioni (a differenza di quanto previsto dalla Convenzione arbitrale) anche in considerazione del mancato recepimento della previsione contenuta nella proposta di Direttiva del 2016. Tale esclusione andrebbe anche valutata alla luce del principio di perequazione nel trattamento delle stabili organizzazioni elaborato dalla Corte di giustizia.
Si pone infine un problema di ordine ermeneutico: laddove il requisito della residenza non debba essere verificato mediante una valutazione di tipo formale (sostanzialmente simile a quella relativa al requisito di beneficiario effettivo per applicazione dell'esenzione da ritenuta), l'accertamento dello stesso potrà determinare delicati problemi interpretativi (fino a richiedere l'applicazione delle "tie-breaker rule") dato che i termini non definitivi nella direttiva devono essere interpretati sulla base della Convenzione rilevante.