Responsabilità

Procedura fallimentare protrattasi per oltre 18 anni: risarcibile il danno morale

Nota a Corte di Cassazione, Sez. II Civ., ordinanza 12 gennaio 2024, n. 1286

Con sentenza n. 1286 del 12 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha statuito che il danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo si intende come normale conseguenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle parti del processo. Ne consegue che, nel caso in cui una procedura fallimentare superi ampiamente il limite di 7 anni, decorrente per i creditori ammessi dall’approvazione dello stato passivo, non può giustificarsi la totale esclusione dell’indennizzo.

La pronuncia in esame trae origine dal ricorso proposto dall’erede del creditore ammesso al passivo, la quale adiva la Corte d’Appello di Brescia al fine di vedersi riconoscere l’equo indennizzo spettante per la durata non ragionevole della procedura concorsuale relativa al fallimento della S.r.l. nei cui confronti vantava il credito.

La Corte territoriale rigettava l’istanza evidenziando che la previsione sulla durata ragionevole della procedura concorsuale di sei anni non esclude che il superamento di tale termine integri di per sé solo gli estremi della durata irragionevole. In particolare, secondo la Corte d’appello, il termine di sei anni previsto per il completamento della procedura costituirebbe una presunzione di ragionevolezza della durata del procedimento superabile con la prova contraria (nel caso di specie data dalla complessità della procedura attesa la massa di documenti da esaminare, la consistenza dell’attivo e del passivo, il numero delle insinuazioni al passivo, le controversie da definire in via stragiudiziale, i plurimi riparti ed il concordato fallimentare).

Avverso la decisione, l’istante proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’art. 2 L. n. 89/2001, in relazione all’art. 6 par. 1 della CEDU, laddove la Corte di Appello aveva giustificato l’irragionevole durata del procedimento sulla base della complessità della procedura fallimentare.

Secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Edu, infatti, si può tenere conto della particolare complessità della procedura concorsuale solo ai fini di un “ temperamento ”, nel senso che la complessità del caso può giustificare al più lo slittamento di un anno della durata della procedura concorsuale.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha ritenuto che, davanti all’ampio superamento del limite di 7 anni, decorrente per i creditori ammessi dall’approvazione dello stato passivo, la complessità del caso non avrebbe potuto in ogni caso giustificare la radicale esclusione dell’indennizzo.

Ciò in quanto il danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, nel rispetto dei principi cardine che la Corte Edu ricava dall’art. 6 CEDU , si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Secondo la Cassazione, dunque, ha errato la Corte di Appello a negare, a fronte di una procedura fallimentare protrattasi per oltre 18 anni, l’“ an ” del diritto alla equa riparazione al creditore ammesso al passivo, non essendo sufficiente a escludere l’indennizzabilità, la constatazione della particolare complessità della procedura.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato rinviando alla Corte di Appello in diversa composizione.

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*A cura dell’Avv. Antonio Martini, partner, Avv. Alessandro Botti e Ilaria Canepa, Dott.ssa Arianna Trentino – Studio legale e tributario CBA

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