Processo tributario, superflua e non idonea a smentire le risultanze, respinta la dichiarazione “troppo generica” della suocera
Nota a Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, Venezia Sez. II, sentenza 10 luglio 2024, n. 507
“La dichiarazione rilasciata dalla suocera, che avrebbe versato mensilmente una somma per permettere al ricorrente di vivere” è superflua perché generica e non idonea a smentire le risultanze contenute nell’atto impugnato “cioè che i maggiori redditi accertati non sono stati a lui distribuiti nel periodo d’imposta considerato”.
È quanto afferma la Corte di giustizia tributaria di Venezia di primo grado con la sentenza n. 507 del 06.06.2024, depositata il 10.07.2024.
In buona sostanza, un contribuente ha cercato di difendersi da un accertamento per maggiori redditi non dichiarati in bilancio affermando che, invece, era sotto soglia di povertà; tanto dimostrabile attraverso dichiarazione testimoniale della suocera.
In via istruttoria, infatti, è stata ammessa la prova testimoniale nelle forme dell’art. 4 del D.lgs. 546/1992 (in combinato disposto con l’art. 257 bis cpc).
Detta norma processuale prevede che: “Non è ammesso il giuramento. La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.
Sicché la Corte veneziana ha ritenuto ammissibile la stessa in quanto necessaria ai fini della decisione, ma una volta assunta il Collegio giudicante stesso l’ha ritenuta, appunto, superflua perché non ideona e generica.
Su questa base ha disposto il rigetto del ricorso del contribuente confermando l’accertamento impugnato. Tuttavia, sul piano di analisi giuridica della questione, c’è da fare un distinguo anche costituzionalmente parlando.
Quando si argomenta in merito a “ prova superflua ” per essa va intesa quella per cui il Collegio non ritiene necessaria l’acquisizione perché già a monte c’è un quadro probatorio sufficiente a considerare illegittimo o meno un atto impugnabile tra quelli dell’art. 19 D.lgs. 546/1992 (o altre norme specifiche in materia i atti impugnabili).
Nel caso in esame c’è una differente valutazione (opinabile o meno).
Se il Collegio non avesse disposto la prova testimoniale chiesta dalla parte ricorrente, è molto probabile che vi sarebbe stata (in appello) una eccezione di violazione del principio di contradditorio e parità di chance (che sul piano costituzionale risiedono negli artt. 3 e 111).
Avendo il Collegio consentito la prova testimoniale, esso stesso si è sottratto all’eventualità di una eccezione come quella appena illustrata riconducendo il tutto ad un motivo di merito sulla genericità e non idoneità della testimonianza resa. Il ché diventa un fatto di mera percezione processuale nel senso che per altri giudici la stessa testimonianza potrebbe risultare idonea benché ugualmente generica o del tutto non generica.
Il punto di snodo, d’altronde, è la lettura della norma stessa (art. 4 del D.lgs. 546/1992) che prevede la prova testimoniale nel processo tributario e che fa richiamo al codice di procedura civile; l’unica forma di specificità voluta dall’art. 257 bis cpc è relativa a quando “Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti” poiché deve solo precisare “quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione”.
Ciò significa delle due l’una: o la norma è incompleta oppure il Collegio ha esteso implicitamente il principio di specificità nella testimonianza scritta. Con l’ulteriore eventuale scostamento dal principio di non applicazione analogica nel mondo del contenzioso tributario.
Quest’ultima cosa implicherebbe, per l’effetto, la violazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione.