Penale

Reati a querela, il Pm può contestare l’aggravante anche oltre il termine

Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17457 depositata oggi

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di Francesco Machina Grifeo

A seguito della riforma Cartabia (Dlgs 10 ottobre 2022, n. 150), per i reati divenuti perseguibili su istanza di parte, nel caso di decorso del termine di 90 giorni (previsto all’art. 85) senza che sia stata proposta la querela, è consentito al pubblico ministero di modificare l’imputazione in udienza mediante la contestazione di una circostanza aggravante, per effetto della quale il reato divenga procedibile di ufficio. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17457 depositata oggi, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica e annullando con rinvio la decisione del Tribunale di Siracusa che aveva dichiarato di non doversi procedere per mancanza di querela.

Il reato contestato all’imputato era quello di essersi impossessato, con mezzo fraudolento, di quantità imprecisate di energia elettrica mediante allaccio diretto alla rete Enel. Secondo il Tribunale, il Pubblico ministero avrebbe manifestato tardivamente la volontà di contestare l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod.pen.. Contro questa decisione ha proposto ricorso immediato per Cassazione il PM affermando che il Tribunale ha erroneamente fissato un termine di decadenza ai fini della contestazione di cui all’art. 517 cod.proc.pen.

Proprio con riferimento a un caso di furto di energia elettrica, la Cassazione (n. 50258/2023) aveva già chiarito che è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela, modificare l’imputazione mediante contestazione, in udienza, di un’aggravante che rende il reato procedibile d’ufficio.

A questo approdo, chiarisce la IV Sezione, non osta la recente sentenza a S.U. Domingo (49935/2023) che riguarda la sola circostanza aggravante della recidiva, rispetto alla quale il Massimo consesso ha focalizzato l’attenzione sul “segmento processuale” in cui la contestazione suppletiva della aggravante possa essere efficacemente elevata in rapporto all’istituto della prescrizione.

Diverso è il caso in questione, spiega la decisione, “non essendo l’istituto della querela legato al decorso del tempo, il cui dispiegarsi, collegato alla prescrizione, incide favorevolmente sulla posizione dell’imputato, a meno che non intervenga una sua rinuncia. In quest’ultimo caso si riespande in tutta la sua pienezza il potere dei P.M. di provvedere in qualunque segmento processuale alla contestazione della recidiva”.

 

La condizione di procedibilità della querela, diversamente dalla prescrizione, dipende dalla volontà della persona offesa ed è revocabile in ogni momento e preesiste al giudizio. “Ove, come nel caso del subentro del diverso regime introdotto dalla c.d. riforma Cartabia, questa non sia stata proposta nel termine trimestrale di cui all’art. 85 d.lgs. 150/22 si verifica una decadenza da parte del titolare della facoltà di proposizione della stessa; la circostanza, tuttavia, è ininfluente sul potere-dovere del P.M. di provvedere alla contestazione suppletiva o ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, che, incidendo sulla procedibilità, priva di rilievo la decadenza dal termine trimestrale”.

Così, sebbene l’esito della mancanza della querela e della prescrizione conducano, nell’ottica del giudice, al medesimo risultato, “si tratta all’evidenza, di situazioni giuridiche profondamente diverse: l’istituto della prescrizione attiene all’estinzione del reato a seguito del mero decorso del tempo; il regime di procedibilità attiene alla necessaria sussistenza di una specifica condizione per l’esercizio dell’azione penale rispetto a determinate figure di reato, secondo una scelta che è rimessa alla discrezionalità del legislatore. Si tratta di discipline normative affatto diverse per struttura e finalità, che non possono essere equiparate ai fini che qui rilevano”.

In conclusione, il P.M., ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. era pienamente legittimato ad effettuare la contestazione suppletiva della circostanza aggravante dell’essere stato il furto commesso su bene destinato a pubblico servizio.

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