Penale

Reato continuato, ultima chiamata davanti al giudice dell’esecuzione

Lo ha chiarito la Cassazione sentenza n. 9461 depositata oggi

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di Francesco Machina Grifeo

Arrivano le precisazioni della Cassazione in tema di reato continuato quando ci si trovi di fronte a due procedimenti diversi relativi a reati della stessa natura. Affrontando il ricorso del presidente del Cda e legale rappresentante di una società, condannato per abbandono di rifiuti, che chiedeva l’applicazione della continuazione rispetto ad un precedente reato sempre in tema di rifiuti, la Terza sezione penale, sentenza n. 9461 depositata oggi, l’ha dichiarato inammissibile affermando che tale domanda non può essere proposta per la prima volta in Cassazione potendo semmai trovare spazio in sede esecutiva.

Nel caso specifico, il ricorrente nonostante un’ordinanza sindacale gli imponesse l’immediata rimozione dei rifiuti, “pericolosi e non pericolosi”, dal capannone della ditta, non vi aveva mai dato seguito. La prima sentenza di condanna, per attività di gestione di rifiuti non autorizzata, era passata in giudicato il 27 dicembre 2020 mentre la pronuncia di primo grado nel presente processo, era stata emessa dal Tribunale di Trento soltanto il 26 gennaio 2021.

Per la giurisprudenza di legittimità è “improponibile davanti alla Corte di cassazione la richiesta di applicazione della continuazione tra il reato per il quale si procede, ancora sub judice, ed altro reato per il quale sia intervenuta condanna definitiva successivamente alla pronuncia della sentenza gravata di ricorso, potendo in tal caso la continuazione essere applicata in sede esecutiva”.

“Ma questo principio – prosegue la decisione - deve essere esteso, a maggior ragione, anche all’ipotesi in cui la richiesta di applicazione della continuazione sia formulata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione ed abbia riferimento, oltre che al reato per cui si procede, ad altro reato per il quale sia intervenuta condanna definitiva prima della pronuncia della sentenza gravata di ricorso”.

In questa ipotesi, infatti, prosegue il ragionamento, “si chiede direttamente alla Corte di cassazione una valutazione in fatto, esorbitante dai limiti del giudizio di legittimità, che avrebbe potuto essere domandata al giudice di merito, e che potrà comunque essere chiesta al giudice dell’esecuzione”.

Né il fatto che i rifiuti si trovino in stato di abbandono all’interno di un’area sottoposta a sequestro giudiziario può avere alcuna efficacia scriminante del reato (articolo 255, comma 3, Dlgs 3 aprile 2006, n. 152) per inesigibilità della condotta, poiché, in tal caso, il destinatario dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti (emessa ai sensi dell’articolo 192, comma 3, del medesimo Dlgs), deve richiedere al giudice l’autorizzazione ad accedere ai luoghi per provvedere alla rimozione.

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