Penale

Reato di omessa dichiarazione, ammessa la prova testimoniale

Il testimone può provare l’esistenza di costi rilevanti ai fini dell’imposta evasa

immagine non disponibile

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per il reato di dichiarazione omessa, anche il testimone può provare l’esistenza di costi rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta evasa. Non necessariamente, infatti, l’esistenza di una spesa va provata tramite documenti, tanto meno dalle registrazioni contabili.

Ad affermarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza nr. 42624 depositata ieri.

Al legale rappresentante di una società veniva contestato il reato di omessa presentazione della dichiarazione, dalla quale era conseguito anche l’omesso versamento dell’Ires.

In proposito, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo 74/2000 punisce con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a Iva o imposte dirette, quando l’imposta evasa è superiore a 50.000 euro.

Sia il Tribunale sia la Corte di appello confermavano la condanna e quindi l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando, in estrema sintesi, un’errata applicazione della norma.

In particolare, infatti, secondo la difesa i giudici territoriali, nella determinazione dell’imposta evasa, non avevano considerato costi effettivamente sostenuti pur se non contabilizzati.

La Suprema Corte, accogliendo il motivo, ha innanzitutto rilevato che il giudice di merito aveva sottovalutato una prova testimoniale dalla quale emergeva l’esistenza di alcuni pagamenti.

Più precisamente, secondo la decisione di appello, la prova di effettiva erogazione di somme spese poteva essere solo di natura documentale e non certo attraverso la testimonianza resa.

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno evidenziato che tale conclusione, fondata su principi privatistici e tributari, è incompatibile con la legge processuale penale. In tale ambito, infatti, non sussistono limitazioni alla prova testimoniale e pertanto un pagamento può essere dimostrato anche per testi.

Nella specie, il commercialista aveva riferito dell’esistenza di ulteriori costi che secondo la Cassazione potevano incidere sulla determinazione dell’imposta evasa e sul conseguente superamento delle soglie ai fini della rilevanza penale della violazione.

In tale contesto, secondo un principio ormai consolidato (tra le ultime, Cassazione 39847/2022) per la determinazione dell’imposta evasa penalmente rilevante, concorrono anche le spese e gli altri componenti negativi, che siano certi o comunque determinabili in modo obiettivo.

A tal fine, diversamente da quanto accade in ambito squisitamente tributario (ad esempio, Cassazione 2581/2021), non è rilevante la loro contabilizzazione, tanto meno è possibile la determinazione in misura induttiva. In sede penale, infatti, è illegittimo presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza di allegazioni fattuali che quanto meno palesino il dubbio della loro sussistenza. Affinchè siano dedotte delle spese inerenti i maggiori ricavi contestati, occorre che l’imputato ne provi l’esistenza (articoli 187 e 190 del Codice di procedura penale), o comunque alleghi dati dai quali possa essere desunta in misura certa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©