Responsabilità

Responsabilità medica, la transazione non libera la struttura sanitaria

La Cassazione, sentenza n. 15216 depositata oggi, accoglie invece il motivo di ricorso dell’assicurazione relativo alla clausola claims made: anche in presenza di limitazioni stringenti, per la nullità va verificata l’assenza di sinallagmaticità

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di Francesco Machina Grifeo

La circostanza che il medico abbia transatto la lite coi pazienti, venendo liberato dalla propria obbligazione, da un lato non impedisce ai pazienti né di introdurre, né di coltivare la domanda di risarcimento nei confronti dell’ospedale, dall’altro non è priva di ricadute pratiche, nel senso che ne consegue la riduzione del quantum debeatur. Lo ha stabilito la Corte ci cassazione con la sentenza n. 15216 depositata oggi, respingendo, sotto questo profilo, il ricorso di un istituto assicurativo.

Il caso era quello dei genitori di un bambino nato con una grave menomazione a causa del ritardo con cui la ginecologa si era risolta a praticare il taglio cesareo. Ebbene, la Suprema corte chiarisce che ciò non incide sul loro diritto a pretendere tutto il risarcimento liquidato dal giudice d’appello, eccetto la parte del credito già soddisfatto dalla transazione con la ginecologa.

Per la Terza sezione civile, dunque, la sentenza impugnata ha giustamente escluso che la transazione conclusa dalla ginecologa, dipendente dall’Azienda sanitaria assicurata, con i danneggiati, potesse essere invocata dall’azienda o dai suoi assicuratori per escludere il risarcimento. La struttura sanitaria (e per essa la ricorrente impresa assicuratrice) non può infatti pretendere di avvalersi dall’accordo transattivo a cui non ha partecipato, per ridurre il proprio debito “a quanto concordato tra le parti della transazione alla quale è rimasta estranea”.

L’errore del medico-persona fisica, spiega la Corte, costituisce “un mero presupposto di fatto per il sorgere della responsabilità dell’ospedale: e come tutti i presupposti di fatto potrà essere accertato dal giudice incidenter tantum, senza efficacia di giudicato nei confronti del medico”. Di conseguenza, la circostanza che il medico abbia transatto la lite col paziente, venendo liberato dalla propria obbligazione, non impedisce al paziente né di introdurre, né di coltivare la domanda di risarcimento nei confronti dell’ospedale; ed ha per sola conseguenza la riduzione del quantum debeatur (da determinarsi coi criteri stabiliti da Sez. U, Sentenza n. 30174/2011).

Del resto, l’ospedale e il medico rispondono in solido nei confronti del paziente: e al creditore di una obbligazione solidale è sempre consentito transigere la lite con uno dei coobbligati, con l’effetto di sciogliere il vincolo solidale rispetto al transigente e riservare i propri diritti nei confronti degli altri. La liberazione d’uno dei coobbligati, pertanto, non impedisce affatto di accertare la responsabilità di quest’ultimo nel diverso rapporto tra il danneggiato e i restanti coobbligati, ma comporta unicamente che, nel compiere tale accertamento, il giudice indagherà incidenter tantum sulla esistenza o meno di una condotta colposa da parte del medico. Diversamente opinando, prosegue la decisione, si perverrebbe al risultato per cui qualsiasi transazione stipulata dal danneggiato con l’autore materiale del danno libererebbe ipso facto anche “l’ausiliato” (di cui all’art. 1228 c.c.).

E la solidarietà si trasformerebbe in un istituto addirittura dannoso per il danneggiato, costringendolo a rifiutare transazioni anche vantaggiose per evitare di perdere il diritto a conseguire il danno differenziale dal preponente.

Accolto, invece, con rinvio, il primo motivo di ricorso relativo alla cd clausola claims made . La Corte di appello dovrà infatti valutare se il complesso delle pattuizioni contrattuali, commisurate alla durata del contratto, e tenuto conto del rapporto rischio assicurato/premi, soddisfi la causa concreta del contratto di assicurazione per i danni sottoscritto dalle parti, indicando, ove ritenga la nullità della clausola claims made inserita nel contratto quali siano le conseguenze da essa derivanti.

La sentenza impugnata nel dedurre l’assenza di una causa concreta del contratto si era limitata a porre sbrigativamente in rilievo due dati, “le stringenti previsioni che concernono i tre anni precedenti la vigenza del rapporto, volte a limitare (ma non ad escludere) una effettiva risarcibilità degli eventi precedenti, e la mancanza della considerazione di richieste di sinistri pervenuti dopo il periodo di vigenza”.

La motivazione invece, conclude la Cassazione, avrebbe dovuto indagare se “pur alla luce delle indicate limitazioni, dall’esame del complessivo assetto di interessi residui una sinallagmaticità delle prestazioni idonea a giustificare il rapporto sotto il profilo causale, ovvero se il contratto sia comunque in grado di esplicare la propria funzione tipica”. Ma, soprattutto, “non ha preso in considerazione le conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola contrattuale, che vanno invece gestite dal giudice stesso”.

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