Famiglia

Reversibilità tra coniuge ed ex coniuge, non conta solo la durata dei matrimoni

di Andrea Alberto Moramarco

Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra le due mogli del de cuius, il criterio della durata dei due rapporti matrimoniali, per quanto necessario e preponderante, non può essere considerato come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente. Occorre, infatti, prendere in considerazione ulteriori elementi, quali eventuali convivenze prematrimoniali o il periodo successivo alla separazione fino alla sentenza di divorzio, in maniera tale da effettuare una valutazione complessiva e comparativa. A ribadirlo è la Corte d'appello di Taranto con la sentenza n. 149/2020.

La vicenda
La disputa trae origine dalla domanda con la quale la prima moglie di un uomo da poco defunto chiedeva al Tribunale di determinare la quota di pensione di reversibilità a lei spettante, fino a quel momento percepita per intero dalla seconda moglie del suo ex marito. Il giudice di primo grado, attraverso un mero calcolo aritmetico, dichiarava il diritto dell'istante a percepire il 63% della pensione di reversibilità e condannava l'Inps a corrisponderle i ratei con decorrenza dal giorno della domanda.
La decisione del Tribunale si fondava, in sostanza, sul fatto che il primo matrimonio (dal giorno delle nozze a quello del divorzio) era durato 12 anni, mentre il secondo matrimonio (dal giorno delle nuove nozze a quello della morte dell'uomo) era durato 7 anni. Tuttavia, il giudice di prime cure non aveva assolutamente considerato altri aspetti delle due vite relazionali del defunto. In particolare, il primo matrimonio era durato di fatto solo 3 anni, in quanto la convivenza era cessata molto prima dell'ottenimento del divorzio, all'esito del quale la prima moglie risultava beneficiaria di un assegno divorzile di 280 euro; mentre il secondo matrimonio era preceduto da una convivenza prolungata con la nuova partner, per un totale di circa 15 anni, dalla cui unione era nato anche un figlio.
La seconda moglie ricorreva perciò in appello, facendo notare l'errore del Tribunale, consistente nell'aver preso come base di calcolo solo la durata formale del rapporto matrimoniale, senza considerare i suddetti ulteriori elementi.

La decisione
La Corte d'appello corregge la decisione di primo grado richiamando il consolidato orientamento, che ha avuto origine dalla sentenza n. 419/1999 della Corte costituzionale, per il quale «il criterio della durata dei due rapporti matrimoniali, per quanto necessario e preponderante, non può essere considerato come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, dovendo essere integrato da ulteriori elementi, da individuare nell'ambito dell'art. 5 L. n. 898 del 1970 e in relazione alle particolarità del caso concreto, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche delle parti private e la durata delle eventuali convivenze prematrimoniali». Ciò vale a perseguire una duplice finalità: evitare che l'ex coniuge sia privato dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio; nonché garantire al secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius contribuiva ad assicurargli in vita.
In altri termini, precisa il Collegio, la durata dei rispettivi vincoli matrimoniali resta il parametro principale dal quale muovere per la ripartizione, ma esso deve essere affiancato da correttivi di tipo equitativo, quali convivenza prematrimoniale, l'effettiva comunione di vita del de cuius con le due mogli, il periodo di tempo trascorso tra la separazione e la sentenza di divorzio. Nella fattispecie, ritengono i giudici, a fronte di una valutazione complessiva e comparativa, gli elementi diversi dalla durata formale dei due rapporti matrimoniali impongono di attribuire la pensione di reversibilità per il 70% alla seconda moglie e per il restante 30% alla prima.

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